Il caso del liceo Virgilio

I chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

Ha destato impressione nell’opinione pubblica la successione di comportamenti gravemente trasgressivi e di allarmanti episodi di violenza verificatisi, nel corso di un’occupazione studentesca, all’interno del liceo Virgilio di Roma: orge, droga, sesso, bombe di carta… Una dirigente scolastica coraggiosa e intelligente – peraltro appena nominata a capo di questo istituto – non ha fatto nulla per nascondere la gravità della situazione, anzi ha sottolineato pubblicamente che essa va ben oltre i recenti fatti e ha la sue radici in un clima abituale di prevaricazione e di violenza instaurato nella scuola da un gruppo di studenti, numericamente minoritario, ma capace di imporre il proprio stile a una maggioranza inerte e silenziosa. Gli stessi docenti sarebbero oggetto di comportamenti irrispettosi e provocatori da parte dei ragazzi che dovrebbero educare e i pochi coraggiosi che affiancano la dirigente nel tentativo di riportare l’ordine sembrano sul punto di arrendersi.

A colpire è stato il fatto che gli studenti in questione non sono i figli di quartieri periferici e di genitori emarginati, ma – come del resto la maggioranza degli alunni del Virgilio – i rampolli di famiglie economicamente e socialmente più che benestanti, che peraltro sono intervenute per difendere e giustificare i loro ragazzi, minimizzando la gravità di quanto è accaduto. Nella loro versione, l’occupazione è stata una prova di impegno civile e politico, l’uso di droghe e gli episodi di sesso un comportamento ormai talmente diffuso tra i giovani da dover essere considerato normale, perfino le bombe carta poco più che dei petardi, fatti esplodere per gioco.

Insomma, a creare il caso sembrerebbe, secondo questa versione, la dirigente, incapace di capire le giuste esigenze delle nuove generazioni. E, dato il potere delle famiglie, non ci sarebbe da stupirsi se, alla fine, il solo cambiamento, al Virgilio, dovesse essere quello del suo trasferimento.

E in fondo è veramente lei ad essere fuori posto in un sistema scolastico in cui le famiglie, ormai da tempo – e non solo al Virgilio! – , invece di sostenere l’opera educativa dei docenti, come facevano in passato i genitori, scendono in campo indignate contro di loro, dando credito ad ogni accusa mossa dai loro figli; in cui anche lo studente che non vuol far nulla può legittimamente sperare che un ricorso al Tar, basato su appigli puramente formali, annulli la bocciatura e lo ammetta egualmente alla classe successiva; in cui minoranze arroganti possono bloccare il funzionamento della scuola.

Il fenomeno delle occupazioni degli istituti scolastici, in questi ultimi cinquant’anni, è emblematico. Con l’avallo benevolo dei loro genitori, ragazzi che non hanno mai letto un giornale, che non saprebbero distinguere il presidente del Consiglio da quello della Repubblica (a scuola non si insegna più a tempo l’educazione civica), che nelle assemblee mensili di istituto vedono solo un’occasione di fare un giorno di vacanza, decidono improvvisamente, in prossimità delle vacanze natalizie, che il mondo non va come loro si aspettavano – i motivi non mancano mai! – e, per protestare, si impadroniscono di un istituto scolastico, al grido “la scuola è degli studenti”, felicemente ignari del fatto che una scuola è di tutti (anche dei docenti, del personale Ata, degli altri studenti che non sono d’accordo con loro…) e bloccano lo svolgimento delle lezioni.

Si tratta, spesso, di ragazzi che hanno dietro le spalle famiglie dove si parla correttamente l’italiano, che d’estate vanno a studiare l’inglese in costosi college di Londra e che per certi versi possono tranquillamente fare a meno dell’istruzione pubblica. E che, in molti casi, possono sempre contare sulle loro famiglie per essere agevolati, quali che siano le loro lacune culturali, nell’accesso al mercato del lavoro. Quanto alla maggioranza, sedotta dalla possibilità di alcuni giorni di vacanza, li asseconda, pur non partecipando attivamente, senza rendersi conto che la sola speranza di emergere, per le categorie socialmente svantaggiate, è l’assidua frequentazione della scuola.

È appena il caso di dire che il risultato è una kermesse dove, se tutto va bene, si respira un clima di allegra libertà da ogni regola, si suona la chitarra e si vive l’ebbrezza di essersi sbarazzati dei professori. Quando va male, succede quello che è successo al Virgilio. In entrambi i casi, alla fine la pubblica amministrazione deve spendere migliaia di euro per riparare i danni provocati dagli occupanti (che invece non escono un euro). È il prezzo di questo gioco. Perché di gioco si tratta: di politica nemmeno l’ombra. Non è un caso che dalla scuola delle occupazioni sia venuta fuori la base elettorale della Seconda Repubblica…

E lo Stato? Da troppo tempo preferisce fingere di credere alla retorica della “protesta” giovanile. Sarebbe bastata una volontà politica più decisa, per evitare al nostro sistema scolastico questo penoso teatrino che, pur non essendo una causa rilevante del suo decadimento, non contribuisce certo a migliorare il suo livello. Ma in fondo, se le scuole si fermano per qualche settimana non sembra grave a nessuno. Ciò che riguarda la cultura non incide sul Pil. Fossero occupate le fabbriche, sarebbe diverso…

Tutto questo, la preside del Virgilio sembra non averlo capito. Farà bene ad aprire – pardon, a chiudere – gli occhi il più presto possibile. Perché l’opinione pubblica, dopo un momentaneo sobbalzo di sorpresa, continuerà, come ha fatto finora, a infischiarsene delle scuole occupate e di quello che ci succede dentro. E lo stesso farà il governo, come tutti quelli che l’hanno preceduto. E a essere anomala, nella felice era delle occupazioni, rischia di restare solo lei.