La Processione

Il 15 di luglio, giorno conclusivo del festino, è dedicato esclusivamente ai riti religiosi.
 
Come ogni anno il Vescovo, che nei giorni precedenti, in nome della “Santuzza” ha incontrato e pregato con tutta la città, presiede il pontificale in onore di S. Rosalia in Cattedrale.
 
Alle ore 19, la preziosa ed artistica Vara argentea con le reliquie della Santa, meta di continuo pellegrinaggio, viene portata in processione per le vie della Città. Essa è seguita dalle autorità religiose e cittadine e soprattutto da una grande folla di devoti e fedeli.
 
Intorno a mezzanotte, dopo avere attraversato la città, i confrati riportano S. Rosalia nella sua Cappella in Cattedrale salutandola con il grido di: “Viva Palermo e santa Rosalia” (courtesy Tommaso Calamia, Associazione culturale “Caput Seralcadi”).
 
Il Corteo
 
Il grande corteo del 14 di luglio, che precede il carro, ha subito negli ultimi anni una evoluzione: è una grande rievocazione collettiva dei drammi del 1624 e della gioia per la liberazione dal terribile morbo. Le centinaia di migliaia di spettatori diventano protagonisti di quegli avvenimenti.
 
Viene rivissuto il diffondersi della peste quando il 7 maggio del 1624, contro il parere del senato, il vicerè Emanuele Filiberto consentì l’attracco del vascello sospettato di avere appestati a bordo, ma pieno di mercanzie e ricchi doni a Lui inviati dal re di Tunisi. Il Corteo racconta, tra i fuochi della distruzione e del dolore, la città prostrata, percorsa dai carri pieni di appestati destinati alle fosse comuni ed appena fatti uscire dalle case “barrigiate”, cioè chiuse con barre e sorvegliate da soldati per impedire che gli ammalati potessero uscire.
 
Dal grande dolore alla grande gioia quando l’Angelo, per intercessione di Rosalia, che affettuosamente è invocata come la “Santuzza”, libera Palermo dalla peste. E’ un tripudio di fuochi di gioia, che illuminano la Cattedrale, mentre tra la folla altri angeli sono portatori del fuoco purificatore. Il corteo si conclude alla marina tra i forti bagliori e gli assordanti botti dello: “Iocu I Focu” Prima di alzare gli occhi al cielo, come è tradizione, i palermitani si sono rifocillati con: “feddi a parmiciana”, “babbaluci”, “pani ca’ mevusa”, “sfincionello bellu”, “stigghiole” e per passare il tempo: “noccioline, calia e simienza”.