Il diritto di morire e quello di vivere

I Chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

Ha avuto notevole spazio, sulle pagine dei nostri quotidiani, la notizia del suicidio assistito, avvenuto in Svizzera, di Loris Bertocco, 59 anni, di Fiesso D’Artico, in provincia di Venezia, paralizzato dopo un incidente stradale avuto a 19 anni e negli ultimi tempi anche cieco. I mezzi di comunicazione hanno messo in grande evidenza le parole che concludono il memoriale lasciato dal suicida: «Il mio appello è che si approvi al più presto una buona legge sull’ accompagnamento alla morte volontaria (ad esempio, come accade in Svizzera), perché fino all’ultimo la vita va rispettata e garantita nella sua dignità». Insomma, un’altra tessera nel mosaico che ormai da tempo si va componendo, al fine di orientare l’opinione pubblica a favore di una legge sull’eutanasia, di cui quella sul testamento biologico è considerata solo una anticipazione “tattica”.

Senonché, a leggere il memoriale, non possono non sorgere delle domande che forse possono mettere in discussione proprio il senso della sua richiesta finale. Perché proprio la testimonianza resa da Bertocco è la prova che la disabilità, anche nelle forme più gravi, non impedisce di dare alla propria vita un senso per se stessi e per gli altri.

Pur essendo paralizzato dal 1977 e ipovedente dal 1996, il protagonista di questa dolorosa vicenda racconta di aver curato dal 1980 fino al 1999, grazie all’aiuto della madre e degli obiettori di coscienza assegnatigli come assistenti, una trasmissione musicale in una radio locale, Radio Cooperativa. «La trasmissione», egli racconta, «si chiamava “Discorso musica” (…). Oltre alla trasmissione serale, sempre grazie al sostegno indispensabile e assiduo di mia madre, riuscivo a curare anche in mattinata la rassegna giornalistica e ad invitare dei personaggi pubblici per discutere di argomenti politici, sociali e di attualità. Questo periodo che ho trascorso in radio mi ha dato moltissime soddisfazioni e mi ha inoltre permesso di avere una vita sociale molto intensa».

Anche il suo impegno sociale e politico, invece di essere escluso dalle sue condizioni fisiche, ne è stato, paradossalmente, potenziato: «Dopo il mio incidente ho sviluppato una particolare sensibilità per i problemi dei disabili (in primis per l’abbattimento delle barriere architettoniche) e per la tutela dell’ambiente e del paesaggio. Nel 1990 sono diventato consigliere comunale per i Verdi per alcuni anni nella città di Mira. Negli anni 2004/ 2005 sono stato candidato sia alle elezioni della provincia di Venezia che per le regionali del Veneto».

Anche la sua vita sentimentale non è stata affatto annullata: nel 1996 ha conosciuto una giovane donna, Anamaria, che poi ha sposato nel 1999. «Anamaria aveva una sensibilità particolare e il rapporto con lei è stato molto arricchente e positivo». Sua moglie, testimonia Bertocco, era disposta a sacrificarsi per stargli vicino: «Più di qualche volta», scrive, «ha dovuto rinunciare ai suoi impegni, perché non è sempre riuscita a trovare una persona che mi assistesse (ad esempio ha rinunciato a partecipare al film “Il vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti)».

[hospice-1797305_640] Ma alle condizioni di salute sempre più precarie del malato si aggiungevano pesantemente le difficoltà derivanti dal mancato appoggio della società. Mentre la madre di Bertocco sentiva sempre più il peso dell’età e dei propri malanni, anche altre forme di aiuto a livello pubblico venivano meno: «Dal 2005 non sono stati più disponibili gli obiettori, che mi erano stati sicuramente di grande aiuto e questo ha complicato i problemi». E Anamaria a un certo punto non è più riuscita ad reggere da sola la situazione. «Il fatto che la mia assistenza gravasse quasi completamente su di lei e che dovesse affrontare faticosamente quasi da sola la soluzione ai problemi quotidiani l’ha portata ad una situazione estrema, cioè la richiesta della separazione».

A questo punto Bertocco ha chiesto disperatamente aiuto alle istituzioni: «Dal 2011 in poi, mancando il supporto di mia moglie e avendo bisogno di assistenza 24 ore su 24, ho tentato di accedere ad ulteriori contributi straordinari della Regione Veneto per casi di particolare gravità. Ho lottato con la Regione per quasi due anni senza ottenere il risultato che speravo. Ho avuto per un periodo due assistenti, pagandole grazie all’aiuto di amici e ad una festa per raccogliere i fondi necessari. Questa situazione non poteva durare a lungo e quindi, finiti i fondi, mi sono trovato nella condizione di pagare una sola assistente. Alcuni amici mi hanno sostenuto nelle giornate festive e nelle situazioni di emergenza o di malattia dell’assistente».

Gli appelli si sono moltiplicati: «Ho fatto presente la mia nuova situazione ai servizi sociali e al sindaco del mio Comune. Ho anche sollecitato direttamente in particolare l’assessore regionale che si occupava allora di questi problemi (…). Non ha capito la mia situazione, che è la situazione di tanti e tante come me, a nome dei e delle quali penso di parlare (…). Il mio Comune ha presentato alla Regione la richiesta di accedere ai fondi straordinari appositi previsti dalla dgr 1177/2011. La Commissione di valutazione regionale, però, per ben due volte ha risposto picche (…). Avrei potuto fare ricorso al TAR, ma ormai ero deluso, stanco, sfinito dalle mille quotidiane difficoltà, di fronte a tanta incomprensione, per altro mai decentemente argomentata».

Il memoriale termina, malgrado tutto, con una commovente professione di amore per la vita: «Io sono stato e sono ancora convinto», dice alla fine del suo racconto Bertocco, «che la vita sia bella e sia giusto goderla in tutti i suoi vari aspetti, sia quelli positivi che quelli negativi. Questo è esattamente quello che ho fatto sempre nonostante l’incidente che ho avuto e le difficoltà di tutti i tipi che questo mi ha creato». Ma, prosegue, «il muro contro il quale ho continuato per anni a battermi è più alto che mai e continua a negarmi il diritto ad una assistenza adeguata». E non può trattenere uno sfogo umanissimo: «Perché è così difficile capire i bisogni di tante persone in situazione di gravità, perché questa diffidenza degli amministratori, questo nascondersi sempre dietro l’alibi delle ristrettezze finanziarie, anche quando basterebbe poco, in fondo, per dare più respiro, lenimento, dignità?».

Poi la richiesta: «Per questo, il mio impegno estremo, il mio appello, è adesso in favore di una legge sul “testamento biologico” e sul “fine vita” di cui si parla da tanto, che ha mosso qualche passo in Parlamento, ma che non si giunge ancora a mettere in dirittura d’arrivo». Ma è veramente una conclusione logica di questa storia? Certo, Bertocco dice fra l’altro che l’assistenza avrebbe solo ritardato la sua decisione, ma in realtà emerge chiaramente, da tutto il suo racconto, che a condurlo ad essa non sono state solo le condizioni fisiche, ma anche – e in modo decisivo – l’abbandono da parte della comunità civile.

Da qui le domande che sorgono davanti a questa terribile storia: e se gli sforzi che vengono fatti attualmente nel nostro Paese, per polarizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sul diritto di morire, venissero invece orientati a creare le condizioni per assicurare quello di vivere?