Il sindaco Lucano e la giustizia di Matteo Salvini

I chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

«Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti». Questo il reato contestato al sindaco di Riace, Domenico Lucano, a seguito di «approfondite indagini, coordinate e dirette dalla Procura della Repubblica di Locri», e che ha portato alla misura degli arresti domiciliari dell’amministratore.

«Accidenti, chissà cosa diranno Saviano e tutti i buonisti che vorrebbero riempire l’Italia di immigrati!», ha commentato ironicamente su Twitter il ministro dell’Interno e vicepremier, Matteo Salvini. L’arresto di Lucano, infatti, rappresenta per lui un ennesimo motivo di esultanza, dopo le trionfali campagne condotte contro ogni forma di accoglienza di stranieri – naturalmente di quelli poveri, per Ronaldo nessuno ha fatto obiezioni – nel nostro Paese. Il comune di Riace, infatti, era considerato un esempio di questa accoglienza. Ora finalmente diventa chiaro che chi la pratica – magari ricorrendo a una serie di escamotage, come il favorire matrimoni di stranieri con italiani per evitarne il rimpatrio forzato, o affidare la raccolta dei rifiuti a cooperative in cui lavorano immigrati – è un fuorilegge. Giustizia è fatta.

Almeno quella di Salvini, nel quale peraltro, dicono i sondaggi, circa il 60% degli italiani si riconosce. Perciò non è principalmente di lui, che qui voglio parlare, ma di noi, del nostro modo di pensare la giustizia e di realizzarla. Perché, sotto questo aspetto, è in gioco non solo il presente, ma – se il nostro vicepremier (ma premier di fatto) ha ragione quando prevede che resterà al potere per i prossimi trent’anni – anche e soprattutto il futuro dell’Italia, il volto che il nostro Paese sta scegliendo di assumere, all’insegna del “governo del cambiamento”, e che plasmerà, inevitabilmente, le nuove generazioni.

La novità, a dire il vero, non è che un amministratore venga preso con le mani nel sacco per il reato di favoreggiamento. Ma finora, nella formula che ci era familiare, si trattava di quello «alla mafia». E non si può certo dire che il problema della criminalità organizzata sia stato risolto; anzi esso ha finito per estendersi a zone del Centro e del Nord in cui esso prima era sconosciuto. Ma, sagacemente, il “governo del cambiamento” ha saputo capire che il vero problema dell’Italia non era questo, e neppure quello, ancora più ampio, della corruzione e dell’evasione fiscale, che, secondo i dati Istat, sottraggono al bene comune e alle risorse disponibili per gli italiani tra i 255 e i 275 miliardi di euro (un valore pari al 17% del nostro Pil). Su questo ultimo fronte, anzi, si sta preparando una normativa per assicurare agli evasori ciò che i vecchi governi, espressione della “casta”, chiamavano condono e che quello “del cambiamento”, che sta finalmente dalla parte dei cittadini, definisce «pace fiscale».

Il vero nemico del benessere degli italiani, hanno scoperto Salvini e il 60% degli italiani, sono i migranti. Perciò, da quando è cominciata la campagna elettorale e poi in questi mesi di governo, si è parlato quasi soltanto della grave minaccia che essi costituiscono, rubando il posto di badanti, di lavascale, di inservienti delle pompe di benzina, di raccoglitori di pomodori, ai nostri giovani ambiziosi e desiderosi di trovare buone possibilità di lavoro, costretti, perciò, ad emigrare a loro volta all’estero (dove, per fortuna, vengono accolti…).

È giusto dunque, in questa prospettiva, che la legge Bossi-Fini – Bossi è il predecessore di Salvini nella guida della Lega, che negli ultimi vent’anni è stata lungamente al governo – dichiari criminali i migranti, anche se non hanno commesso nessuno dei reati che gli italiani commettono in grande quantità, e spedisca in galera chi si prodiga per consentire loro non la possibilità di delinquere, ma quella di rimanere tra noi.

A crearmi qualche problema, davanti a questo quadro così chiaro e coerente, è il fatto – riconosciuto quasi a malincuore dalla magistratura – che, malgrado tutti gli sforzi fatti dagli inquirenti, il fuorilegge Domenico Lucano non si è messo in tasca neppure un euro. In questi anni, sotto la dissennata gestione dei governi guidati dal Pd (che, tra parentesi, si è guardato bene dall’abrogare la legge Bossi-Fini), si è molto investito su una finta accoglienza, il cui principale vantaggio era di far arricchire non gli stranieri (come falsamente è stato detto dalla Lega), ma gli italiani che la gestivano, a cui andavano i 35 euro a testa dati dal governo (la formula “prima gli italiani!” era stata di fatto seguita ben prima di Salvini). Questa volta, invece, siamo davanti a un’accoglienza fatta gratuitamente, e creando occasioni di reale inserimento nella società. Ma che proprio per questo ha portato il sindaco Lucano agli arresti. È questo che il nostro vicepremier Salvini ha salutato con esultanza.

Insomma, dobbiamo cominciare ad abituarci al nuovo concetto di giustizia che si sta affermando: chi ruba soldi alla comunità appropriandosene non va colpito, chi gestisce questi soldi per aiutare gli immigrati è un criminale.

A confermare questa logica, del resto, è la storia recente della stessa Lega, di cui nelle settimane scorse si è definitivamente accertata la sottrazione fraudolenta di 49 milioni di euro appartenenti allo Stato e dunque agli italiani. Il patteggiamento fatto da Salvini, per evitare il sequestro dei beni del partito e soprattutto le indagini sulle fonti di finanziamento della Lega, ha condotto a un accordo per cui l’enorme somma verrà restituita con comode rate da 100.000 euro ogni due mesi, nell’arco di ben 81 anni, senza interessi. Come si dice in siciliano, «vasamone, ca’ niente ci fu!».

Nel suo entusiastico tweet il nostro ministro degli Interni si chiede con sarcasmo cosa diranno i “buonisti”, ora che la legge si è pronunciata nei confronti del sindaco Lucano. Per quanto mi riguarda, mi chiedo piuttosto come faranno il 60% degli italiani a spiegare ai loro figli che questa, da ora in poi, è la giustizia nel nostro Paese.