Liberazione sessuale o nuova schiavitù?

I chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

L’annunzio che Damian Green, deputato conservatore e vicepremier inglese, si è dimesso perché accusato di molestie sessuali e, soprattutto, perché nel suo computer istituzionale sono state trovate migliaia di immagini pornografiche, si inserisce in uno scenario che, nel corso di questi ultimi mesi, ha visto travolti da scandali uomini (e perfino qualche donna) del cinema, della canzone, della politica, dello sport, accusati per lo più di molestie sessuali nei confronti di persone dell’altro sesso.

Per citare alcuni dei più famosi, attori come Dustin Hoffmann, Steven Segal, Kevin Spacey (premio Oscar), il produttore cinematografico Harvey Weinstein, il regista Roman Polanski, il pugile Mike Tyson, la cantante Mariah Carey, politici come l’austriaco Peter Pilz, ex capo dei Verdi, il francese Axel Loustau, consigliere di Marine Le Pen, per non parlare del più noto e potente di tutti, Donald Trump, nei cui confronti già durante ala campagna elettorale diverse donne avevano avanzato pesanti accuse di molestie sessuali, sono al centro di una tempesta mediatica che sta seriamente danneggiando la loro immagine e, in qualche caso, anche la loro carriera.

Ciò che colpisce è che questi fatti risalgono tutti al periodo successivo alla “grande liberazione sessuale” avvenuta a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, che nella opinione diffusa ha finalmente liberato le nostre società dai tabù soffocanti della morale religiosa, restituendo al sesso la sua valenza di libero sfogo gioioso dell’istintualità e della corporeità. È sulla scia di questa liberazione che oggi i nostri adolescenti consumano l’atto sessuale già pochi anni dopo la pubertà, senza neppure fingere che si tratti di amore. Non a caso l’espressione “fare l’amore” è ormai desueta e viene sostituita da quella più realistica e cinica “fare sesso”.

Ora, però, salta fuori che questa liquidazione dell’etica tradizionale non ha portato solo liberazione, ma nuove forme di schiavitù, questa volta non rispetto a regole astratte imposte dal costume sociale e dalla tradizione cristiana, ma all’arbitrio di chi ha in mano il potere e il denaro sufficienti per comprare la sottomissione e il silenzio delle vittime.

E ciò non soltanto di fronte a episodi in cui queste ultime si sono ribellate, ma anche in tanti casi in cui i compensi, con cui sono state comprate, hanno tutto sommato fatto passare in secondo piano ai loro occhi l’umiliazione di essere usate e ridotte ad oggetto di piacere di un’altra persona. Pensiamo qui alle donne destinatarie delle attenzioni amatorie di Silvio Berlusconi, innumerevoli (secondo, almeno, le sue dichiarazioni) e tutte lautamente ricompensate. Pensiamo al mondo sommerso di tutte quelle che il bisogno di denaro, la speranza di successo, l’ansia di emergere in qualche modo, fa ruotare ancora oggi intorno a personaggi potenti, in grado di dare loro quello che desiderano, in cambio di prestazioni sessuali.

L’ultimo scandalo, a questo proposito, riguarda un austero magistrato della Corte dei Conti, Francesco Bellomo, che è al centro di violente polemiche per aver imposto alle frequentatrici dei suoi affollati corsi di preparazione alla magistratura un codice “etico” che prevedeva “bella presenza”, vertiginose minigonne, tacchi a spillo, e soprattutto una specie di “appartenenza” al dominus, che poteva all’occorrenza trasformarsi in qualcosa di più. Ora qualcuna di queste ragazze si è ribellata. Ma altre, che magari hanno vinto il concorso di magistratura e comunque hanno tratto negli anni dei vantaggi da questo regime di harem moderno, non lo hanno fatto.

E forse a questo punto qualcuno potrebbe chiedersi se non sia abbastanza triste non solo che ci siano degli sfruttatori della debolezza altrui, ma anche che la società di oggi, priva di criteri etici, favorisca una complicità da parte di chi, tutto sommato, trova utile e forse inevitabile vendere il proprio corpo e, in una certa misura, anche la propria anima al migliore offerente.

È vero: ora siamo liberi di farlo. Le vecchie impalcature sociali che prima ingabbiavano le libertà degli individui in una rete di regole e divieti sono felicemente crollate. Ma è inquietante che al loro posto sia subentrato “questo”. Sarebbe stato diverso se, al venir meno delle costrizioni esterne, fosse subentrata una coscienza morale diffusa nelle persone, capace di orientarle a scelte più mature e responsabili, senza più bisogno di vincoli opprimenti. Non è andata così. E ora solo qualche scandalo occasionale, che probabilmente sarà presto dimenticato, fa venire fuori la violenza che sta dietro la retorica della “liberazione”.

Non è certo il caso di rimpiangere il passato. Non solo tornare indietro sarebbe impossibile, ma non sarebbe nemmeno auspicabile. La libertà è una conquista troppo preziosa. Ma sarebbe bello che oltre a quella di abbandonarsi alle logiche della corsa al successo (e del conseguente dominio dei forti sui deboli), che genera nove forme di sottomissione e di coercizione, ne fiorisse una nuova, ancora molto rara, ma di cui sentiamo dolorosamente l’urgenza, e cioè quella di recuperare, nella nostra esperienza personale e comunitaria, il primato dell’amore sulla pura soddisfazione sessuale e, insieme all’amore, il rispetto di noi stessi e delle altre persone.