Domenica delle Palme

Chiesa Cattedrale
05-04-2020

Omelia dell’Arcivescovo

Cattedrale, 5 aprile 2020

Un’insolita domenica delle Palme, per una singolare “Grande Settimana”.

Dove sono, o Dio, i «tuoi fedeli, che accompagnano esultanti il Cristo, nostro Re e Signore»? (Messale Romano, Orazione alla Commemorazione dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme).

«Accresci, o Dio, la fede di chi spera in te» (Id., Orazione ad libidum). Dalla diaspora (dispersione) a cui siamo costretti in questo tempo di prova, accresci o Dio la sapienza del nostro cuore perché possiamo meglio riconoscere il ‘vero Re’ che vuole entrare oggi nelle nostre vite, nelle nostre case, nelle nostre città impaurite e martoriate.

Nella fede, ci siamo affidati ad «un re che viene, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma» (Mt 21,5; cfr Zc 9,9).

Matteo cita il profeta Zc 9,9 e unitamente il profeta Is 62,11; così l’ingresso di Gesù a Gerusalemme va letto come un segno (l’ingresso con un’umile bestia da soma: «condussero l’asina e il puledro ed egli vi si pose a sedere»: Mt 21,7) e un messaggioDite alla figlia di Sion»: Mt 21,5; Is 62,9) che ‘pro-voca’ Sion, Gerusalemme, città che, al di là della reazione iniziale, ‒ «la folla stese i propri mantelli sulla strada» (Mt 21,8) ‒ rimane «presa dall’agitazione» (Mt 21,10).

Colui che viene come Re-Messia, come Salvatore, disattende ogni criterio religioso e non

corrisponde alle attese umane. Gesù non entra nella città con le prerogative del Messia forte trionfante, potente e giudice, ‒ Matteo fa cadere dalla citazione gli attributi di «giusto e vittorioso» ‒ ma del Messia debole, mite, pacifico, non-violento, servo, che rinunzia al potere e alla forza. Un Messia che sceglie la via della kenosi, dello svuotamento da ogni prerogativa di autoaffermazione e di comando.

Non sopraggiunge sopra un cavallo, ma su un asino che non gli appartiene e che deve restituire, poiché lo prende in prestito da un altro, da un ignoto inconsapevole prezioso strumento che contribuisce a rendere manifesto il segno e la parola salvifica del Messia umile: «Quanti servi nascosti ‒ scrive la “Tromba dello Spirito Santo della Bassa Padana”, quel grande prete che fu don Primo Mazzolari ‒ ha il Signore nostro! Ecco, sono sparsi ovunque […]. Essi custodiscono in silenzio i segreti delle divine chiamate: non chiedono nulla, non disertano, né tradiscono. Forse non hanno una cognizione chiara del servizio che rendono né a chi lo rendono, ma, in compenso, quanto disinteresse e quale prontezza e devozione nel servire un Signore che non conoscono! Prima di abbandonarci al pessimismo sul presente sul domani della Chiesa, mettiamo in conto, nella partita del bene, queste forze preziose che lavorano senza sapere per il regno di Cristo. “Gli direte che il Signore ne ha bisogno”» (La parola che non passa).

Egli convoca tutti, dall’alto della croce. Tutti. Lui attira. È l’Uomo che si dona fino in fondo. È il Dio che ci ama fino a tanto: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea» (Mt 21,11); «Costui è Gesù, il re dei Giudei» (Mt 27,37); «Davvero costui era Figlio di Dio!» (Mt 27,54).

Gesù è il Messia che accetta di passare dall’Osanna al Crucifige, che prende su di sé il legno della croce, che si fa crocifiggere da escluso, fuori dalla città, tra altri crocifissi, buoni e cattivi. Un Salvatore che salva prendendo su di sé le contraddizioni, le ferite e il peccato degli uomini. Il dolore e il peccato.

Il dolore di chi soffre e muore ingiustamente, di chi è privo del pane quotidiano e dell’amore, elementi essenziali per vivere e sopravvivere: pane e amore. Di chi muore solo, emarginato, calunniato, abbandonato, tradito, immiserito.

Prende su di se il peccato di chi confida in se stesso, nel denaro, nel potere. Di chi si appoggia e si affida alla forza della violenza. Il peccato di chi contraffà il nome stesso di Dio e lo strumentalizza, rinnegando il vero volto del Padre misericordioso che rifulge sul volto dell’umiliato del Golgota che non ha «sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50, 6).

Esageratamente violenti, troppo aggressivi nel quotidiano; abbiamo abitato il tempo e lo spazio ‘consumando’ le relazioni, mossi da uno smodato individualismo idolatrico, come sedicenti despoti.

Non abbiamo riconosciuto il volto dell’altro, anzi lo abbiamo eliminato, cancellato, sopraffatto con parole violente, con l’indifferenza, con scelte insensate, e lo abbiamo strumentalizzato per interessi personali o di parte, lo abbiamo mercificato e sfigurato.

Siamo stai violenti nelle stesse relazioni più belle, a casa, in famiglia, nelle nostre comunità cristiane, nel posto di lavoro, nelle relazioni sociali, nel quartiere, nella città, nelle piazze, nei luoghi del discernimento e del confronto politico.

Lo siamo anche con la ‘casa comune’, il piccolo pianeta che abitiamo; abbiamo abusato la Terra, violentato il mare, inquinato l’aria, avendo dimenticato che la terra è un giardino da custodire, da coltivare con cura e da consegnare alle nuove generazioni.

Questo è il Re che viene a noi, per portare su di sé la nostra sofferenza e il nostro peccato. A lui abbiamo consegnato la nostra vita.

Egli porta «il vessillo della Croce, mistero di morte e di gloria», di sconfitta e di vera vittoria.

«L’Artefice di tutto il creato, è appeso ad un patibolo» (Liturgia delle Ore, Inno ai I Vespri, Domenica delle Palme) ma con il cuore ancora squarciato, sempre allargato, per ogni donna e per ogni uomo, di ogni tempo. Il suo cuore di Figlio di Dio, venuto nel mondo per assaggiare fino in fondo la nostra condizione umana, la nostra stessa precarietà e per renderci partecipi dell’amore trasfigurante e rigenerativo di Dio Padre. Per renderci figli di Dio, eredi dei Beni eterni, della Vita, della Comunione e della Gioia senza fine.

SeguiamoLo, tutti, con gioia e fiducia, in questa insolita domenica delle Palme, in questa singolare Grande Settimana che ci permetterà di essere ancora raggiunti dall’eterno amore salvifico di Dio Padre per noi uomini.

+ Mons. Corrado Lorefice