Festino di Santa Rosalia

Santa Messa a palazzo delle Aquile
12-07-2006

    Sig. Sindaco,
    Sig. Presidente del Consiglio,
    Sigg. Amministratori, Consiglieri,
    Onorevoli Autorità,
    Sorelle e fratelli amati dal Signore.

1. È significativo che ogni anno nella Messa di S. Rosalia la liturgia della Chiesa ponga sulle nostre labbra le parole accorate, fiduciose, struggenti del salmista: ‘O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia. A te anela la mia carne come terra deserta, arida, senz’acqua’.
    Rivelano l’anelito insopprimibile del cuore umano verso Dio, che indusse la Santuzza ad abbandonare la Reggia e a rifugiarsi sul Montepellegrino per donarsi totalmente e per sempre al Re dei re e al Signore dei dominanti.
    E in realtà la Signoria di Dio, che Gesù ci fa riconoscere ogni qualvolta nella preghiera del Padre nostro diciamo ‘Venga il tuo regno’, illumina, come modello, e sostiene, come forza, quanti nella società hanno il difficile compito di servire il popolo nella nobile ed esigente missione politica e amministrativa.

2. Gesù, il Messia promesso, che nel deserto ha combattuto e sconfitto la tentazione di un messianismo politico, caratterizzato dal dominio sulle nazioni (Mt 4,8) e ha affermato che egli ‘non è venuto per essere servito ma per servire’, (Mt 20,28) ha condannato aspramente il potere oppressivo e dispotico di chi governa le nazioni, rivoluzionando ed esaltando il concetto di potere in quello di servizio.
    Gesù non ha mai contestato direttamente l’autorità del suo tempo, ma il modo arrogante, ingiusto, disonesto di esercitarla, in linea con quanto i profeti nell’Antico Testamento avevano gridato ai re d’Israele e di Giuda, consacrati per servire e non per maltrattare i sudditi, non per curare i propri interessi ma quelli del popolo.
    La sua celebre frase: ‘Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio’, mentre è un invito a rispettare la legittima autorità costituita, esprime implicitamente la condanna di ogni tentativo di divinizzazione e di assolutizzazione del potere temporale: solo Dio può esigere tutto dall’uomo.
    All’insegnamento di Gesù si ispira quello degli Apostoli.
S. Paolo nella lettera ai Romani (13,11) definisce i rapporti e i doveri dei cristiani verso le autorità, come quello di pagare le tasse e il rispetto della legalità, ma nello stesso tempo ricorda a quanti detengono l’autorità che essa è a servizio di Dio per il bene delle persone (Rm 13,4) e per la giusta condanna di chi opera il male (Rm 13,4).
    Anche S. Pietro esorta i cristiani a riconoscere la legittima autorità (1Pt2,17), la quale, a sua volta, deve rispettare la giustizia, assicurando il bene comune.
    Quando, però, il potere umano esce da questa prospettiva di servizio del bene comune nel rispetto dei diritti dei sudditi, come è avvenuto nel tempo delle persecuzioni che in tante parti del mondo continuano anche nel nostro, l’apostolo Giovanni raccomanda la resistenza dei martiri.

3. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 884), Cristo ha svelato all’autorità umana, sempre tentata di dominio, il suo significato autentico e compiuto di servizio.
    Dio, al quale appartiene la piena e assoluta sovranità, non riserva solo a sé l’esercizio di tutti i poteri, ma assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura.
    Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà degli uomini, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane.

4. E in realtà fondamento e fine della convivenza politica è la persona umana.
    La comunità politica trova nel riferimento al popolo la sua autentica dimensione.
    Il popolo non è una moltitudine amorfa, una massa inerte da manipolare e strumentalizzare, bensì un insieme di persone, ciascuna delle quali, al proprio posto e nel proprio modo, ha la possibilità di formarsi una propria opinione sulla cosa pubblica e la libertà di esprimere la propria sensibilità politica e di farla valere in maniera confacente al bene comune. L’autorità deve rispettare la libertà del popolo.
    Ciò che caratterizza in primo luogo un popolo è la condivisione di vita e di valori, che è fonte di unità, di concordia, di serenità, di comunione, di pace, a livello spirituale e morale. Un livello, questo, che purtroppo non sempre è tenuto presente in un contesto di crescente materialismo pratico, senza etica e senza anima.
    A ragione Papa Giovanni XXIII nella enciclica Pacem in terris precisa che ‘la convivenza umana deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero (ma quante falsità sono messe in giro); esercizio di diritti e adempimento di doveri (ma questi sono spesso dimenticati); impulso e richiamo al bene morale (oggi purtroppo in forte crisi nelle coscienze individuali e in quella collettiva); permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi (contro le sfide dell’individualismo e le pressioni dell’egoismo); anelito alla mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante’.

5. Considerare la persona umana come fondamento e fine della comunità politica significa adoperarsi, innanzitutto, per il riconoscimento e il rispetto della sua dignità, sin dal momento della concezione, mediante la tutela e la promozione dei suoi diritti fondamentali e inalienabili.
    ‘Occorre perciò ‘ come afferma il Concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes (n.26) ‘ che sia reso accessibile all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, il diritto all’educazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso’.
    Garantire ai cittadini questi diritti è dovere di coloro che sono stati eletti dal popolo. Alla fiducia dei cittadini deve corrispondere la sollecitudine intelligente, competente, lungimirante, generosa, imparziale, di coloro che li rappresentano, mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale. A loro volta, i cittadini devono sostenere le iniziative promosse nell’interesse comune, per il bene della città, con senso di responsabilità, nella convinzione che ogni bene civico è un bene di tutti, per cui da tutti deve essere rispettato, tutelato e difeso.

6. Compito centrale della politica è attuare e garantire il giusto ordine della società contro ogni aggressione delle forze del male, che tentano talvolta di insidiarla e di inquinarla.
    ‘La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica’. Lo ha sottolineato con molto vigore Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est, affermando, con un esplicito riferimento a S. Agostino, che ‘uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe a una grande banda di ladri’.
    E in realtà ‘la politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica’ (n. 28).
    La Chiesa, come espressione sociale della fede cristiana, ‘non intende arrogarsi un potere sullo Stato’, né tanto meno ‘vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono ad essa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far si che ciò che è giusto possa, qui e ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato’ (ib., n. 8).
    I valori che discendono dal Vangelo, non si oppongono agli autentici valori umani e sociali che discendono dalla ragione. Al contrario, li sostengono, li garantiscono, li promuovono. Si pensi al valore della famiglia fondata sul matrimonio, come è riconosciuto anche dalla nostra Costituzione italiana, e che bisogna difendere e tutelare per non compromettere il futuro dell’umanità.
Per questo la Chiesa non può non proporli e annunziarli. Indubbiamente essa ‘non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia’. Lo fa con lo stile e i mezzi propri: col dialogo aperto a tutte le istituzioni, con la luce della sua dottrina sociale, e con la forza della carità, che è l’anima della solidarietà, della condivisione, del volontariato.

7. A questo stile mi sono ispirato nei dieci anni del mio episcopato a Palermo, facendomi voce dei palermitani. Di essi, soprattutto durante la visita pastorale, condotta nelle parrocchie, negli ospedali, nelle case, nelle scuole, nei diversi quartieri, ho avuto modo di conoscere direttamente situazioni, istanze, attese, speranze e anche delusioni.
    Questo popolo, che amo come me stesso e porterò sempre nel mio cuore di cittadino onorario e di pastore, merita di essere servito da tutti noi col massimo della dedizione nell’impegno che in ambiti diversi ci è stato affidato, con particolare attenzione a quanti vivono nel disagio, nella povertà, ai margini della società. Non sono pochi: sono purtroppo in crescita. La soluzione dei loro problemi merita perciò i primi posti nei programmi amministrativi e finanziari.
    È quanto S. Rosalia chiede a tutti noi, anche attraverso la parabola evangelica delle vergini sagge e vigilanti, perché le istanze religiose, culturali, morali, sociali della sua e nostra Città non siano disattese, ma siano portate avanti con decisione, con coraggio, con competenza, con lungimiranza, anteponendo sempre il suo interesse ad ogni altro, per quanto legittimo e importante.
    Si avvererà, così, anche per Palermo, quella primavera che lo sposo del Cantico dei Cantici, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, annunziava alla sua sposa: ‘Ecco, l’inverno è passato, i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato, il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza’.
    È un annunzio di speranza, che in questo Palazzo, cuore della Città, diventa augurio esigente e fiduciosa preghiera. Amen.