Solenne Veglia di Natale

Chiesa Cattedrale
24-12-2022

Natale del Signore 2022

Chiesa Cattedrale, Messa nella notte

Omelia di Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo

In questa notte di veglia – qui ed ora – siamo tutti consapevoli che facciamo memoria di un fatto che accade ancora, spesso ahimè, sotto i nostri occhi. Quante volte i media riportano la notizia e le immagini di bambini nati mentre una madre attraversa il Mediterraneo su un barcone stracolmo di migranti? Quante volte abbiamo sentito e continuiamo a sentire che una donna è costretta a vivere la gioia della maternità all’addiaccio, ristretta in un campo di profughi, in un alloggio di fortuna, bloccata alle frontiere innevate dell’Europa civilmente e culturalmente evoluta? O di una ragazzina palermitana che dà alla luce un bambino nascosta in un anfratto delle nostre periferie urbane ed esistenziali?

È notte. Lo zenit della notte, delle tenebre. Quanta indifferenza, quanta opposizione, quanti attentati alla vita, nel suo sorgere, nel suo sviluppo e nel suo declino. Anche da parte di chi stanotte accende le luci di un presepe e dell’albero di Natale. Eppure, tutte le volte che viene al mondo un bambino, soprattutto quando è sottratto all’impero del male propagato dai grandi di questo mondo, dagli adulti mai cresciuti – ebbri di autonomia e incapaci di riconoscere i falsi idoli di cui sono schiavi, che giocano con la vita, con i corpi propri e i corpi altrui –, [tutte le volte che viene al mondo un bambino] è una chiara conferma che la storia degli uomini, che la nostra esistenza terrena non è sfuggita allo sguardo discreto e amorevole di Dio, nonostante le nostre grettezze e negligenze, nonostante il nostro peccato. Lo abbiamo ascoltato: “Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,1.5).

Dio continua a ritenere importanti noi umani, a renderci destinatari della sua cura e del suo amore, ci considera ancora i suoi cari figli (1Gv 3,2: “ora siamo figli di Dio [nūn tékna teoū ésmen])”, degni della sua visita e della sua compagnia, della sua salvezza. Egli desidera essere ancora il Dio-con-noi, l’Emmanuele, coerentemente al nome che ha rivelato nel bambino nato dall’umile figlia di Sion, nella sala parto di fortuna – “da campo”, direbbe Papa Francesco –, approntata da Giuseppe nella buia periferia rocciosa di Betlemme.

In questa notte squarciata dal flotto di luce che emana il fragile e infreddolito corpicino nato dalla Vergine Maria in un alloggio di fortuna, noi riconosciamo “la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà” (Tt 2,11). La grazia che ci libera dall’autoreferenzialità, che ci decentra e fa della nostra esistenza una ‘periferia’ capace di accogliere la vita, di distillare il puro e vero bene, di esprimere parole che allargano gli orizzonti della mente ed edificano l’altrui felicità, vincendo così l’asfissia del cuore, micidiale pandemia che sempre più contagia e travolge noi abitanti della ‘Casa comune’ che è la Terra. Di questa ‘Casa comune’ sempre più rinserrata e barricata a scompartimenti stagni, nell’individualismo, nel ‘singolarismo’, nei nazionalismi, nelle aggressive rivendicazioni identitarie, ideologiche, etiche, religiose, politiche, sempre più campo di battaglia e teatro di follie narcisistiche e omicide. Basti pensare ai protagonisti dell’aberrante guerra russo-ucraina che toglie “sulla terra pace agli uomini” (Lc 2,14).

Noi siamo gli accorsi a vedere il Segno, quelli che lo hanno accolto e credono nel suo nome (cfr Gv 1,12). Noi, chiamati e coinvolti in prima persona a partecipare ai sentimenti di Dio per gli uomini e le donne così come ce li rappresenta e si concretizzano nel corpicino inerme di questo Bambino nato a margine dei grandi capitoli della storia dell’umanità. Dio e uomo ormai non stanno su due rive inesorabilmente distanti e irraggiungibili. Anzi la carne dell’uomo è ormai la carne stessa di Dio. Che nessuno di noi rinunci alla sua stessa carne.

Come mia madre benedicente e con religioso rispetto adagiava nel paniere di vimini il pane appena sfornato, avvolgendolo in una candida tovaglia, Maria ha fasciato e adagiato sulla mangiatoia il pane degli Angeli disceso dal cielo a Betlemme, “nella città di Davide” (Lc 2,11), “casa del pane” in ebraico (bet lechem), “casa della carne” in arabo (beit lahm). Pane fragrante offerto a tutti come cibo di vita, carne donata per noi uomini e donne fragili e peccatori, ormai dimentichi di questo alimento indispensabile che esce dalla bocca e dalle viscere di Dio: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51).

Diamo gloria a Gesù bambino, al Figlio dell’Altissimo che “scese e si rimpicciolì”, con le parole di un Inno di S. Efrem il Siro:

«Il giorno della tua nascita ti assomiglia,

perché è desiderabile e amabile come te.

Noi, che non abbiamo visto la tua nascita,

l’amiamo come se le fossimo contemporanei.

Benedetto il tuo giorno, che fu fatto per noi!

Il tuo giorno ci ha dato un dono,

quale il Padre non ne ha altro uguale.

Non ci mandò dei serafini,

e neppure dei cherubini scesero presso di noi.

Non vennero vigilanti ministranti

ma il Primogenito, che è servito.

Chi potrebbe essere all’altezza di rendere grazie

per il fatto che la grandezza incommensurabile

giacque in una disprezzabile mangiatoia?

Benedetto colui che ci ha dato tutto ciò che possedeva!

Benedetta la tua beatitudine che si è incrementata per noi!»

(Inni di Natale, XXIII, 7-9). Amen.

Felice Natale del Signore nostro Gesù Cristo a voi tutti, a tutte le vostre famiglie e comunità di provenienza. Auguri vivissimi.