VI Settimana della Fede – Celebrazione Penitenziale in Cattedrale

15-03-2003

‘Non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto’.

Amatissimi Presbiteri e Diaconi,
Carissimi fratelli e sorelle amati dal Signore.

1. A conclusione della Settimana della Fede, che con la guida di insigni maestri ci ha aiutati a prendere sempre più viva coscienza della fiducia che il Signore ha riposto in ciascuno di noi nell’affidarci un ministero, un servizio, un compito in una Chiesa tutta ministeriale, sentiamo anzitutto il bisogno di ringraziarlo per questa fiducia, del tutto gratuita e immeritata.
Viene spontaneo il ricordo dei giorni in cui abbiamo avvertito la chiamata al ministero, sia ordinato che istituito, e di quando lo abbiamo ricevuto, e col salmista diciamo al Signore: ‘Ricordo i giorni antichi, ripenso a tutte le tue opere, medito i suoi prodigi’. E prodigio del suo amore per ciascuno di noi, – vescovi, presbiteri, diaconi, ministri istituiti -, è il dono di grazia conferitoci con l’ordinazione o con l’istituzione del ministero.

2. Possiamo, infatti, applicare anche a noi le parole rivolte dal Signore al personaggio misterioso del cantico di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura: ‘Ecco il mio servo che io sostengo, il mio diletto di cui mi delizio. Ho posto il mio spirito su di lui’ (Is 42,1).
Quella profezia si è avverata pienamente in Cristo, il servo per eccellenza del Padre, il ministro della Nuova Alleanza, che in questa settimana abbiamo contemplato come la sorgente e il modello di ogni ministero nella Chiesa.
A lui dobbiamo essere perennemente uniti. Da lui dobbiamo continuamente ripartire. A lui dobbiamo costantemente conformarci, per essere collaboratori coerenti e fedeli del suo unico ministero di salvezza che si prolunga nella missione della Chiesa.
Purtroppo non sempre da parte nostra è stato così. Non sempre è così. Per questo alla confessione del ringraziamento e della lode, aggiungiamo umilmente e sinceramente quella delle nostre incoerenze, delle nostre infedeltà, dei nostri peccati.
Poniamoci alla sua presenza. Fissiamo su di lui gli occhi della nostra contemplazione. Specchiamo in lui la nostra coscienza, per verificare la conformità o la difformità nei confronti del modello di servizio che egli ci ha offerto con i suoi atteggiamenti di vita e con i suoi insegnamenti.
Convertiamoci e torniamo a lui con tutto il cuore così da poter dire con l’apostolo Paolo senza arrossire: ‘Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio’.

3. Ministri di Cristo lo siamo meno indegnamente se ci conformiamo a lui nella logica e nello stile del servizio.
Ce lo ha ripetuto espressamente or ora nel Vangelo (Mc 10, 35-52).
Ogni ministero nella Chiesa non è un titolo di prestigio o di onore, come credevano i figli di Zebedeo, gli apostoli Giacomo e Giovanni, che addirittura pretendono da Gesù i primi posti nel Regno della sua gloria.
Il Maestro anzitutto li rimprovera per la loro presunzione: ‘Voi non sapete ciò che domandate’ (v. 38). Poi, visto che gli altri si sdegnano con i primi ‘ e in realtà l’orgoglio e l’invidia s’intrecciano sempre, provocando dissensi e divisioni – dà la lezione evangelica del ministero apostolico e di ogni altro ministero nella Chiesa, che mai può essere considerato domino e potere di stampo mondano, ma semplicemente ‘servizio’: ‘Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così, ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti’ (vv. 42-44).
Come esempio porta se stesso: ‘Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti’ (v.45).
D’altra parte nessuno può presumere o pretendere di meritare o di ricevere un ministero, che è dono unicamente di Dio. Vale anche per questo l’affermazione di Gesù: ‘è per coloro per i quali è stato preparato’ (v. 40). Al ministero si è chiamati da Dio, attraverso la mediazione ineludibile e insostituibile di coloro che nella Chiesa hanno il carisma del discernimento.

4. Gesù sorgente e modello di ogni ministero nella Chiesa si presenta questa sera a noi come il servo umile e obbediente. Così ce lo fa contemplare S. Paolo scrivendo ai Filippesi: ‘Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, (nel testo greco ‘si vuotò di se stesso’) assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente sino alla morte e alla morte di Croce’ (Fil 2,6-8).
L’apostolo ci esorta ad avere gli stessi sentimenti di Gesù. Per cui ci poniamo una prima domanda: a somiglianza di Gesù siamo davvero servi umili?
L’umiltà è condizione perché l’esercizio del nostro ministero sia gradito a Dio, perché esso sia efficace e credibile, attragga a Cristo quanti noi siamo chiamati a servire.
Ci ammonisce il Siracide: ‘Figlio, nella tua attività sii modesto, sarai amato dall’uomo gradito a Dio. Quanto più sei grande, tanto più umiliati, così troverai grazia davanti al Signore, dagli umili egli si è glorificato. Non cercare le cose troppo difficili per te. Molti ha fatto smarrire la loro presunzione, una misera illusione ha fuorviato i loro pensieri’ (Sir 3,19-26).
A sua volta il salmista ci invita a pregare così ogni giorno: ‘Signore non s’inorgoglisce il mio cuore, e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze (Sal 131,1)
Ma l’esortazione più autorevole ci viene dal Maestro: ‘Imparate da me che sono mite e umile di cuore’ (Mt 11,29).

5. Non si è umili se non si è obbedienti. Viene spontanea, perciò, una seconda domanda: a somiglianza di Gesù siamo servi obbedienti?
Obbedienti dobbiamo essere anzitutto a Dio e a Cristo Signore con la grazia dello Spirito Santo, come condizione per restare nel suo amore, dal quale ogni ministero nella Chiesa parte e del quale deve essere espressione credibile e trasparente. ‘Se osserverete i miei comandamenti, – ha detto Gesù agli apostoli nell’Ultima Cena, – rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore’ (Gv 15,10).
A scanso di equivoci, Gesù precisa che rimanere in lui, vivere cioè costantemente in grazia, in intima e vitale comunione con lui, è condizione della fecondità del nostro ministero: ‘Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla’ (Gv 15,5).
Al contrario, il ministro che non rimane in lui, che vive staccato soprannaturalmente da lui a causa del peccato, pregiudica non solo la fecondità del suo ministero ma la sua stessa salvezza: ‘Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano'(Gv 15,7).

6. Il servo obbediente a Dio è obbediente anche alla Chiesa. Non può esserci, infatti, fedeltà a Cristo se non si è fedeli alla Chiesa.
Fedeli alla Chiesa, al suo magistero e alle sue norme, dobbiamo essere soprattutto noi, suoi ministri, che per mezzo di essa abbiamo ricevuto da Dio il ministero: questo va, perciò, esercitato nel più grande rispetto delle norme della Chiesa, seguire le quali è fonte di unità e di concordia, mentre contravvenire ad esse, oltre che costituire una colpa e una mancanza di umiltà, è causa di confusione, di divisioni e di discordia.
Chi nella Chiesa è causa di discordia e di divisioni non è degno di ricevere e di esercitare il ministero, che per sua natura è finalizzato alla missione della Chiesa come sacramento di unità.

7. E il dono dell’unità Gesù ha chiesto al Padre nella preghiera sacerdotale prima della sua passione, come segno di credibilità della sua e della nostra missione: ‘Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato’ (Gv 17,21).
Quella preghiera era rivolta non solo per gli apostoli, ma anche per coloro che avrebbero creduto in lui attraverso la loro parola. Raggiunge, perciò, quanti, per l’ordinazione sacramentale o per l’istituzione ecclesiale, abbiamo ricevuto un ministero da parte di Dio attraverso i loro successori. Tutti dobbiamo essere anzitutto ministri, ossia servitori dell’unità, vivendo intensamente la spiritualità della comunione.
Scrive S. Paolo: ‘Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di intenti’ (1Cor 1,10). ‘Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche la Chiesa di Dio’ (1Cor 11,16). ‘Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri’ (Fil 2,3). ‘Vi esortiamo, fratelli, a farvi un punto di onore: ‘vivete in pace con tutti’ (Rm 12,18).
In un momento storico nel quale tutti siamo mobilitati con la preghiera e col digiuno ad invocare il dono della pace nel mondo minacciato dall’intreccio diabolico del terrorismo e della guerra, la preghiera e il digiuno più graditi al Dio della pace sono quelli che partono dai cuori in pace con lui, con se stessi e con gli altri.

8. Ci sarà allora più facile mettere in pratica quanto il profeta Isaia ha esaltato nel servo del Signore. ‘Non griderà, né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta’ (Is 42,2). Bisogna essere rigorosi con se stessi, non con gli altri, verso i quali deve risplendere la benevolenza e la misericordia del Padre: è soprattutto in questo senso che Gesù ha comandato di essere perfetti come il Padre, nell’amore e nel perdono.
Ci sarà anche più facile perseverare nel ministero, nonostante le difficoltà che esso incontra e i sacrifici che esso comporta. Senza venir meno, senza scoraggiarci, senza abbatterci, ma con fermezza, come ha preannunziato il profeta per il Servo del Signore.
Ci sia di esempio la Vergine Santa, soprattutto in questo anno del Rosario a lei dedicato. La recita di questa preghiera, tanto cara al suo cuore di Madre, nella contemplazione dei misteri e nella reiterata invocazione dei figli, non solo ci fa penetrare nel mistero del suo Figlio per collaborare meno indegnamente con lui nell’opera di salvezza, ma ci fa sperimentare il sostegno della intercessione materna di Colei che offre a ciascuno di noi la risposta convinta e generosa della nostra volontà di servire: ‘Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che tu hai detto’ (Lc 1,38).

9. Ci accosteremo ora individualmente al trono della misericordia, del perdono e della pace nel Sacramento della Penitenza. Confesseremo con sincerità e umiltà tutti i singoli i nostri peccati, e soprattutto le infedeltà nell’esercizio del nostro ministero. Col cuore contrito, che è gradito a Dio, rinnoveremo la nostra volontà di servirlo fedelmente con la grazia e l’entusiasmo degli inizi, mentre col salmista gli diciamo: ‘A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra riarsa. Non nascondermi il tuo volto. Fammi conoscere la strada da percorrere. Insegnami a compiere il tuo volere, perché sei tu il mio Dio. Il tuo spirito buono mi guidi in terra piana’ (Sal 142, 6-10).