23 maggio, il ricordo delle vittime della strage mafiosa di Capaci con le parole di Papa Francesco

Mons. Corrado Lorefice: «Servire le istituzioni per liberare gli uomini dalla sofferenza generata da altri uomini disumani»

La voragine causata dal tritolo lungo l’autostrada alle porte di Palermo, in quel pomeriggio del 23 maggio di ventinove anni fa, inghiottì cinque vite (quelle dei giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e quelle degli agenti della Polizia di Stato Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonino Montinaro) e segnò un punto di non ritorno nella coscienza civile del nostro Paese. I pastori della Chiesa di Palermo hanno sempre, e con fermezza, condannato la “cultura della morte” della mafia offrendo agli uomini e alle donne della mafia la possibilità di redenzione attraverso una netta e piena conversione.

«Io vi perdono, ma dovete mettervi in ginocchio», disse singhiozzando nella basilica di San Domenico, durante i funerali delle vittime della strage di Capaci, Rosaria Costa, vedova di Antonino Montinaro, rivolgendosi a coloro che avevano organizzato e realizzato l’attentato. Un invito al cambiamento radicale quindi, lo stesso invito rivolto ai mafiosi da Papa Francesco, durante la celebrazione della Santa Messa in occasione della memoria liturgica del Beato Pino Puglisi, a Palermo il 15 settembre del 2018: «Non si può credere in Dio e sopraffare il fratello. Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore. Oggi abbiamo bisogno di uomini e di donne di amore, non di uomini e donne di onore; di servizio, non di sopraffazione. Abbiamo bisogno di camminare insieme, non di rincorrere il potere. Se la litania mafiosa è: “Tu non sai chi sono io”, quella cristiana è: “Io ho bisogno di te”. Se la minaccia mafiosa è: “Tu me la pagherai”, la preghiera cristiana è: “Signore, aiutami ad amare”. Perciò ai mafiosi dico: cambiate, fratelli e sorelle! Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi. Tu sai, voi sapete, che “il sudario non ha tasche”. Voi non potrete portare niente con voi. Convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo, cari fratelli e sorelle! Io dico a voi, mafiosi: se non fate questo, la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte».

Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonino Montinaro erano uomini delle istituzioni e – così come ha ricordato il nostro Arcivescovo Corrado Lorefice – «Un uomo delle istituzioni resta fedele al suo mandato, quello di liberare gli uomini dalla sofferenza generata da altri uomini disumani, riscattare la città degli uomini dalle voragini infernali dei sistemi criminali paralleli allo Stato» (Omelia nel XXXVIII anniversario dell’uccisione del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’Agente della Polizia di Stato Domenico Russo. Palermo, Chiesa cattedrale, 3 settembre 2020).

La voragine scavata quel 23 maggio del 1992 continua a ricordarcelo.

(lp)