Il suicidio di una civiltà

I chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

Peccato che il ragazzo che in questi giorni, in una scuola degli Stati Uniti ha massacrato a colpi di fucile 17 persone, tra ragazzi e professori, ferendone altri quindici, non fosse un arabo, un musulmano, o almeno un africano… Avremmo potuto auspicare che i “veri” americani si rifacessero sparando a loro volta a un paio di stranieri.

Come da noi ha fatto, a Macerata, un altro “bravo ragazzo”, Luca Traini, che, per vendicare l’atroce assassinio di Pamela Mastropietro, non ha trovato niente di meglio che sparare a sei disgraziati nigeriani, rei di essere connazionali del principale sospettato dell’omicidio. Come se il diciannovenne massacratore della scuola della Florida fosse stato italiano, e qualche americano, indignato dell’accaduto, sparasse ora alla cieca sugli italiani che incontra per strada…

“I matti ci sono sempre stati”, osserverà qualcuno, col sottinteso che non vale pena di drammatizzare. Già. Ma in questo momento della nostra storia sono tanti, i matti. Perfino l’avvocato di Traini ha detto di trovare «allarmante» la quantità di dichiarazioni e messaggi di solidarietà pervenute al suo cliente da tutte le parti d’Italia. Scritte sui muri delle nostre città, striscioni, slogan gridati, inneggiano al suo gesto. E del resto anche Matteo Salvini, il leader della Lega – di cui Traini è stato candidato alle comunali del 2017 –, pur condannando il gesto ha aggiunto che «è chiaro ed evidente che un’immigrazione fuori controllo, un’invasione come quella organizzata, voluta e finanziata in questi anni, porta allo scontro sociale».

La colpa, insomma, in fondo, è di chi ha permesso che quei nigeriani a cui Traini ha sparato fossero in circolazione nel nostro Paese. Se fossero rimasti nel loro, tutto questo non sarebbe accaduto. E qui il segretario della Lega ha ribadito che, quando andrà lui al governo, nessuno avrà più bisogno di sparare agli stranieri perché essi – almeno quelli poveri, visto che i ricchi sono e saranno sempre i benvenuti – verranno aiutati «a casa loro», più precisamente nei lager libici dove già ora vengono amichevolmente ammassati e torturati per sconsigliare loro il viaggio in Italia.

I barbari nessuno li vuole. Dove per “barbari”, per la verità, non vanno intesi soltanto gli immigrati, ma anche i poveri e i disabili. Insomma, i “diversi”. A questo proposito, recentemente è stato notato che nei Rapporti di autovalutazione (RAV) che i licei italiani pubblicano ogni anno sul sito del Ministero della Pubblica Istruzione, per farsi conoscere e apprezzare dalle famiglie dei potenziali alunni, le assicurazioni volte ad attirare “clienti” sono tristemente indicative dell’attuale clima culturale in Italia e in tutto il mondo occidentale.

Così, nel Rapporto di autovalutazione del prestigioso liceo «Visconti» di Roma, si sente il bisogno di precisare che «tutti, tranne un paio, gli studenti, sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile» e si aggiunge che la percentuale di alunni svantaggiati «per condizione familiare è pressoché inesistente».

Da parte sua, il liceo «Doria» di Genova ci tiene a garantire che «il contesto socio-economico e culturale complessivamente di medio-alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale (come, ad esempio, nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione e al dialogo tra scuola e famiglia, nonché all’analisi delle specifiche esigenze formative nell’ottica di una didattica davvero personalizzata».

E, nel Rapporto del liceo «Parini» di Milano, si sottolinea che «gli studenti del liceo classico in genere hanno, per tradizione, una provenienza sociale più elevata rispetto alla media. Questo è particolarmente avvertito nella nostra scuola».

Ancora più esplicito il Rapporto del liceo parificato «Falconieri» di Roma (quartiere Parioli): «Gli studenti del nostro istituto appartengono prevalentemente alla medio-alta borghesia romana». E poi la rassicurante notizia: «Non sono presenti né studenti nomadi né provenienti da zone particolarmente svantaggiate».

Che società stiamo preparando per i nostri figli? Questo è un liceo dove la cultura non è destinata a unire le persone diverse, ma a separarle e, in un futuro non lontano, a contrapporle. Da una scuola così concepita non può che derivare quello scontro frontale tra le classi sociali e tra le culture che si dice di temere, e che invece si sta preparando! Ci si illude di esorcizzare la presenza dei poveri e degli stranieri tenendoli a distanza. E non ci si rende conto che la logica dell’emarginazione sociale e culturale produce violenza – perché lo è già in se stessa.

È l’attuale orientamento della nostra società. I privilegiati – che diventano sempre di meno, perché non fanno più figli (l’ultimo rapporto Istat conferma il trend allarmante di questi ultimi anni) – si barricano nelle loro dorate gabbie di benessere e si godono una libertà che, significativamente, ha come suo ultimo oggetto il diritto di suicidarsi (v. l’esultanza del circo mediatico per le recentissime vicende giudiziarie relative caso Dj Fabo).

Torna in mente un film di John Boorman Zardoz(Gb, 1973), ambientato in un futuro in cui la terra è dominata da una casta di umani che, grazie alle loro superiori conoscenze scientifiche e tecnologiche, sono non solo esenti da malattie e da vecchiaia (sono tutti sani e belli), ma addirittura immortali – per questo hanno rinunziato a generare figli, per i quali non ci sarebbe posto – , e vivono in una sorta di Olimpo, il Vortex, mantenendo a distanza i comuni mortali grazie a una barriera magnetica che impedisce loro di avvicinarsi.

Il resto dell’umanità – costituita dai “Bruti” – è tenuto in schiavitù ed è soggetto ai continui massacri e allo sfruttamento da parte di selvaggi guerrieri, gli “Sterminatori”, che provvedono al mantenimento degli “Immortali”, ricevendone in cambio armi per perpetuare la loro oppressione.

Ma uno degli Sterminatori, Zed (Sean Connery) riesce a entrare nel Vortex e disatttiva la barriera magnetica, aprendo così la strada all’assalto che i suoi compagni, i “barbari”, muovono contro il Vortex, ormai senza difesa. Paradossalmente, però, i suoi abitanti, stanchi di una vita senza scopo, corrono incontro agli invasori per farsene colpire, felici di incontrare la morte.

Zardoz, apparentemente un film di fantascienza, costituisce in realtà una trasparente parabola che riguarda non il futuro, ma il presente del mondo in cui viviamo. Un mondo in cui domina una minoranza ricca e potente, a cui la cura ossessiva del corpo e della salute consente di perseguire il sogno dell’eterna giovinezza (vedi la fioritura dell’industria dei cosmetici e della chirurgia estetica), ma che ha smarrito il senso della vita, al punto da non volerla più trasmettere, per godere egoisticamente del proprio benessere, e si difende dalla maggior parte dell’umanità, povera, sporca e miserabile, che si affolla alle sue frontiere cercando disperatamente di entrare nell’Eden artificiale riservato ai privilegiati. Una minoranza che sfrutta, al tempo stesso, i poveri e i miserabili per alimentare la propria prosperità, fornendo armi a chi svolge per lei questo lavoro “sporco”.

Forse sarebbe bene organizzare una proiezione gratuita del film di Boorman per i nostri politici (magari spiegandoglielo: il livello culturale si è molto abbassato) – per la destra, che sta costruendo le sue fortune elettorali su questo progetto da incubo, e per la sinistra, che ha ritenuto più urgente l’approvazione di una legge per garantire a una ridotta minoranza di ricchi la libertà di morire che non una, come lo ius soli, che avrebbe dato a una massa di emarginati quella di vivere come cittadini – , ma soprattutto per la gente comune, per quella maggioranza degli italiani, che non ha ancora capito che così stiamo andando verso il suicidio della nostra civiltà.