L’Arcivescovo ricorda assassinio Giudice Borsellino e Agenti scorta

Omelia in Cattedrale in occasione del XXVIII anniversario dell’eccidio

«Da dove viene la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo! […] Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura» (Mt 13, 27.30).

Stare nel mondo continuando a vedere «il buon seme», a scegliere il bene, a lottare per il bene che comunque esiste, che cresce, che vive, seppur tra la zizzania, in mezzo al male. Questo è il messaggio più bello che ci viene oggi dalla Parola di Dio e in particolare dalla pagina evangelica: c’è sì la zizzania, vi è una semina sovrapposta a quella del «buon seme» (Mt 13, 24), ma quest’ultimo cresce e porta frutto. Il granello di senape germoglia ‒ come ci ricorda l’altra parabola odierna parlando del più piccolo tra tutti i semi ‒ e quando cresce «diventa un albero» (Mt 13, 32) dove tanti, alla sua ombra, possono trovare riposo e frescura. Come il lievito «che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Mt 13, 3). Il lievito è piccola cosa rispetto all’intera massa della farina eppure riesce a far fermentare l’impasto accettando di perdersi e di sciogliersi dentro, contribuendo a far sì che sulla mensa degli uomini non manchi il pane essenziale della vita e della speranza.

Come sempre la parola di Dio contenuta nella Bibbia ‒ soprattutto nell’Evangelo ‒ «è efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12), fin dentro i meandri della vita e della storia degli uomini, li legge, li interpreta divenendo lampada che illumina nel prosieguo del cammino.

Questa pagina del Vangelo ci aiuta a leggere l’intera vicenda umana e professionale del giudice Paolo Borsellino. La sua vicenda è stata così bella e significativa, capace di far levitare il bene fino a noi, di dare speranza a tanti. A cominciare dalla sua amatissima famiglia, dai suoi colleghi di lavoro. Sappiamo che Paolo Borsellino era un credente cattolico praticante che attingeva alla fede ‒ celebrata e alimentata dai sacramenti e dalla lettura della Parola di Dio contenuta nei libri della Bibbia ‒ le motivazioni del suo impegno per la legalità e la giustizia e la sua intelligente e audace lotta alla mafia. Il lievito del Vangelo del Regno ha dato energia e ha animato la sua bella umanità. Lo ha reso quello che è, quello che abbiamo imparato a conoscere: un uomo disposto a dare la vita in nome di questo Bene che sa attendere fattivamente il giudizio di Dio.

Oltre alla sua indole umana e alla formazione ricevuta dalla famiglia, dai suoi studi, dalla sua esperienza professionale acquisita accanto a fulgide figure come Rocco Chinnici, Antonino Caponnetto e Giovanni Falcone, Borsellino traeva dalla sua relazione con Dio il senso della storia e del suo travaglio, e il significato ultimo della vita. Le parole del libro della Sapienza le aveva fatte sue: «Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, […] hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini» (Sap 12,19).

Ma c’è un nemico dentro il campo della storia che ne inficia la bellezza. «Da dove viene la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo!» (Mt 13,28). Per un cristiano si tratta di rimanere dentro la storia come ci sta Dio. Dal di dentro, fino a berne il calice amaro. Dio l’ha pensata e voluta non come una selva oscura ma come un paradiso, un giardino, con al centro l’albero della vita. C’è però un nemico che la rende storia infernale.

Eppure Dio non si dilegua. Si prende cura: «Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose» (Sap 12,19). Crede ad una nuova seminagione. Investe ancora nel suo Figlio, fattosi storia, carne, Figlio d’uomo: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo» (Mt 13,37), che si è consegnato

liberamente e per amore sul legno della croce ritornato così ad essere nuovo albero della Vita, il trono glorioso dell’Agnello immolato e vittorioso.

Prendersi cura: questo l’invito di Dio ad ogni uomo che impara a conoscere il suo volto, ma anche l’invito che risuona nella coscienza di ogni donna e di ogni uomo di buona volontà. Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina: tutti hanno fatto la loro parte. Che vuol dire rimanere seme buono, custodire la seminagione con la pazienza del buon seminatore che «Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni lamentose né allarmiste» (Papa Francesco, EG 24). Significa riconoscere la zizzania, chiamarla per nome. Trovare modo che cresca il seme buono, i frutti di vita nuova di un mondo che conoscerà sempre il travaglio, a causa del male e di quanti lo servono: gli uomini empi. Saper offrire la vita intera e giocarla fino in fondo, fino al martirio, testimoniando e ascoltando la verità, combattendo per la giustizia e la legalità, portando avanti un cambiamento culturale e mentale in virtù dell’amore e, soprattutto, nella speranza del giorno del giudizio di Dio.

I figli del Regno e i loro frutti di bene giudicano sin da ora l’intera storia umana. Il bene a cui resta fedele anche un solo uomo figlio del Regno. La verità giudica la falsità, anche quando si fa di tutto per offuscarla. Quando si cerca di manometterla. Il giudizio della storia è già in atto. E il giudizio sugli empi lascerà il passo alla corona dei giusti. È il giudizio sui poteri carsici che brigano e opprimono, su ogni mafia e di quanti ad essa si alleano. E sarà «la peggiore delle sconfitte», come ricordava papa Francesco al Foro Italico il 15 settembre 2018 durante l’omelia della messa per il XXV anniversario dell’uccisione di Padre Pino Puglisi.

La storia che viviamo con tutti gli uomini e tutte le donne è piena di contraddizioni, i cristiani come Paolo Borsellino, e tutti gli uomini giusti, veritieri e di buona volontà, vi stanno dentro condividendo il travaglio del suo cambiamento, della sua trasfigurazione. Dal di dentro, portandone il peso con pazienza, sopportando anche la solitudine, immettendovi segni di bene e di giustizia, ricercando sempre la verità, e continuando a sperare fattivamente nel riscatto dal male, che avanza servendosi di logiche e di operazioni di donne e uomini empi. I malvagi che, pur di imporre un potere parallelo, carsico, camuffato, sfruttatore e oppressivo, ardiscono celebrare alleanze subdole e trasversali con i servitori infedeli dello Stato, con quanti per scelta e per mandato dovrebbero servire le istituzioni preposte a garantire a tutelare il bene comune e la giustizia.

E poiché ogni logica e ogni potere mafioso, nelle loro diverse articolazioni, sono antievangelici ‒ come zizzania e buon seme non saranno mai assimilabili ‒, i cristiani denunciano che anche l’omissione del servizio alla verità sulle ingiustizie e le violenze mafiose è contro il Vangelo. Il velo che è stato posto come una coltre sulla verità della morte per mano mafiosa di tanti giusti come Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta, può e deve essere tolto. Solleviamolo oggi, non domani! Contribuiamo a togliere questo velo gettato sulla storia di Palermo, sulla storia della Sicilia e dell’Italia intera. La verità ripulirà le nebbie, rimetterà in moto i cuori, darà sostegno al bene, porterà la speranza lì dove c’è la rassegnazione, segnerà una nuova alba per il nostro paese. La parola di oggi ce lo chiede con forza. E ci ammonisce: comunque tutto verrà svelato, ogni depistaggio smascherato. I martiri della giustizia e della fede annunciano già il giudizio di Dio: «La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!» (Mt 13,39-43).