In una Cattedrale stracolma le esequie morti alluvione

“Certo è lecito e forse anche doveroso, che anche ci si interroghi a tutti i livelli per cercare di dare una spiegazione a quello che appare inspiegabile e, comunque, inaccettabile. Ma speriamo vivamente che lo si faccia non per alimentare inutili polemiche o favorire il ben noto e insopportabile rimpallo di responsabilità, quanto per  rendere giustizia, nella verità, a chi non c’è più e porre i necessari provvedimenti affinché si eviti il ripetersi di tali eventi”. Lo ha detto nel corso dell’omelia per le esequie delle vittime del nubifragio di Casteldaccia, il Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Palermo mons. Giuseppe Oliveri in una Cattedrale colma all’inverosimile.

Al termine della celebrazione Eucaristica, alla quale hanno partecipato il vicario del V vicariato don Antonio Mancuso, il parroco della Cattedrale mons. Filippo Sarullo, il segretario particolare dell’Arcivescovo, don Salvatore Biancorrosso, il vice parroco della Parrocchia di Madonna di Lourdes, dove ieri è stata allestita la camera ardente, p. p. Luis Antonio Lopez Cervantes e altri presbiteri, lo stesso vicario generale mons. Giuseppe Oliveri ha letto il messaggi inviato dall’Arcivescovo, mons. Corrado Lorefice che si trova all’estero che si trascrive integralmente.

“Care Sorelle, Cari Fratelli,

mi trovo lontano da Palermo, ma sento l’urgenza di far giungere a voi la mia voce in un momento di dolore così forte e lacerante. Di fronte alla morte innocente e allo strazio di chi resta non possiamo che levare lo sguardo verso il nostro Signore. Egli non offrì mai spiegazioni alle tragedie umane, ma si fece carico, con una commozione intensa, dei nostri smarrimenti e dei nostri lutti.

Poniamo la sua figura davanti ai nostri occhi e contempliamolo sulla via di Nain, quando fremette interiormente – come ci racconta l’evangelista Luca (7, 11-17) – di fronte al funerale dell’unico figlio di una madre già vedova. Possiamo immaginare il grido di quella donna che risuona ancora oggi e che tocca nelle viscere me, vostro  pastore, e tutta la comunità dei credenti in Cristo. Osserviamo però al contempo anche il gesto di Gesù che, vedendo quel dolore, risuscitò il ragazzo e lo riconsegnò a sua madre. Questo gesto è per tutti noi fonte di speranza in mezzo alle contraddizioni e alle doglie del parto di questa nostra storia che rimane in attesa di liberazione e di vita piena (cfrRm 8, 22).

Per questo insieme alziamo la nostra voce e gridiamo a Gesù, Figlio di Dio e figlio dell’uomo, nostro Fratello e Signore: Gesù di Nazareth, dobbiamo fermarci, non possiamo proseguire oltre, indifferenti, dinnanzi a tanta sofferenza. Dobbiamo ‘sentire’ queste morti, far nostro questo dolore, com-patirlo, portarlo insieme a quanti ora ne sono schiacciati. Dobbiamo cambiare. Tutti. Dobbiamo convertirci. Se non ci convertiremo… (cfr Mt 13, 5).

Gesù  facci guardare al mondo e agli uomini con i tuoi occhi, con stupore, rispetto, attenzione, amore. Facci abitare la terra da custodi sapienti e da pellegrini impavidi, non da padroni stanziali. Facci avvicinare ad ogni dolore per stendere le mani e toccarlo, assumerlo, fino a sentirlo nelle nostre viscere. Continua tu a narrarci che la tua incarnazione, la tua morte ingiusta –  accolta liberamente e per amore – e la tua risurrezione sono la vicinanza di Dio che fa suo il travaglio e il dolore del mondo, il grido delle vittime che attendono riscatto e liberazione, gioia e vita, giustizia e pace.

Gesù, Agnello immolato e innalzato, mite e mansueto, tieni desta la nostra attesa. Ma tu non tardare! Vieni presto. Ascolta e vieni, non indugiare! Riscatta per Dio e per i giusti le vittime della storia, perché possano ereditare la terra, finalmente liberata dalle grandi acque del male, della sofferenza e della morte. Amen”.