“Santa Rosalia, testimone di una fede che ama Dio e i fratelli”

Omelia dell'Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice ai piedi della grotta di Monte Pellegrino nella memoria liturgica di Santa Rosalia

«Oggi rischiamo un cristianesimo senza amore di Cristo, e di vivere una fede che non immette nella città umana l’alto potenziale dell’amore fraterno, della cura reciproca, energia necessaria perché si possa costruire la casa comune – la città e il pianeta terra che abitiamo – nella giustizia, nella solidarietà e nella pace. Rosalia, vergine-sposa saggia, ci ricorda che non può venire meno quest’olio, l’olio della fede-amore, capace di attraversare anche la notte. Urge una fede che ci faccia amare Dio e i fratelli. Questa è la fede che ci testimonia Rosalia. La bellezza di questa fede. Un amore conosciuto e vissuto. Per Dio e per i fratelli. E mio fratello e mia sorella sono ogni persona che incontro, vicina o lontana per provenienza geografica, culturale, religiosa. A maggior ragione se porta i segni delle pesti e delle pandemie della vita, di quelle naturali e di quelle determinate dall’incuria umana, dalla bramosia voraginosa dei cuori induriti dalla mancanza di amore».

E’ questo uno dei passaggi dell’omelia pronunciata questa mattina dall’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice durante la celebrazione ai piedi della grotta del Santuario di Santa Rosalia nella memoria liturgica della patrona di Palermo. Oltre alle autorità civili e militari era presente il vescovo Heinrich Bedford-Strohm, presidente del Consiglio della Chiesa Evangelica tedesca.

«Per questo siamo saliti ancora una volta a Monte Pellegrino da S. Rosalia. Per rinnovare l’olio dell’amore di Dio e del prossimo […] Ogni cristiano che voglia vivere con autenticità e gioia la sua fede deve continuare con decisione e senza tentennamenti nel suo impegno e nel proprio stato di vita. Deve continuare a vivere in famiglia, nella professione, in città. Ma Dio chiede a tutti una relazione d’amore».

Di seguito, il testo integrale dell’omelia:

 

Festa di S. Rosalia, Santuario di Monte Pellegrino, 4 settembre 2021

Omelia

Perché Rosalia è venuta qui sopra, su questo promontorio del Monte Pellegrino facendo la scelta di una vita in solitaria preghiera e contemplazione?

E perché ci attira ancora quassù?

Queste domande ancor oggi sgorgano silenti o impetuose in ciascuno di noi. Il Libro del Cantico dei cantici ci indirizza, spingendoci dentro quella polarità che mai come in questo tempo di pandemia, dall’intimo delle nostre viscere cardiache, vibra nei nostri stessi corpi. La stessa polarità che presumiamo abbia conosciuto Rosalia: la struggente ricerca dell’amore fonte della vita. Di Rosalia si narra che la scelta dell’eremitaggio le fu richiesta proprio dal Cristo, apparsole mentre si preparava per la cerimonia di nozze che dovevano legarla al nobile Baldovino.

L’Amore forte come la morte. Amore e morte si fronteggiano continuamente.

«Una voce! L’amato mio!» (Ct, 2,8). «Ora parla il mio diletto e mi dice: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!”» (Ct, 2,10). «Forte come la morte è l’amore» (Ct, 8,6). L’intensità dell’amore se è forte come la morte, vince perché sopravvive oltre la morte. «Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio» (Ct, 8 7).

Ciò che l’ha condotta è l’amore attrattivo e preveniente di Dio, che chiama alla comunione con lui, verità che libera il cuore e lo unifica. La conoscenza «dell’amore di Cristo che supera ogni conoscenza» (Ef 3,19). Conoscenza nella rivelazione ebraico cristiana sta per relazione vera e viva, coinvolgimento di tutto l’essere, del cuore, dei sentimenti, della mente, del corpo.

Un amore così forte da permettere a Rosalia una radicale libertà interiore dalle cose materiali per potersi prendere cura – nonostante l’abbandono della sua casa e la separazione dalla sua e nostra città – di noi suoi fratelli che viviamo a valle, nelle strade e nelle case che popoliamo e abitiamo, lì dove gioiamo e soffriamo, lì dove prende quotidianamente corpo la polarità comunione/divisione, solidarietà/indifferenza, salute/malattia, benessere/povertà, amore/odio, pace/violenza, vita/morte.

Ignazio di Antiochia nella sua lettera ai cristiani di Roma scriveva: «Non c’è in me fuoco che ama la materia, ma un’acqua viva che mormora in me e mi dice nell’intimo: “Vieni al Padre”».

S. Rosalia ci ricorda però che a un certo punto della vita bisogna porre fine alle tante e diverse esperienze che rincorriamo e che ci rincorrono; prendere consapevolezza dei tanti condizionamenti sempre più subdoli e pervasivi della nostra società opulenta che atrofizzano il cuore fino a  non farci riconoscere nell’altro il valore e la dignità di persona impressi nel volto, soprattutto dei più fragili, dei piccoli, dei senza voce; scegliere, con una decisione forte e definitiva, decidersi a dare una risposta ad una chiamata, un’adesione positiva a qualche cosa, o meglio a Qualcuno; ‘innamorarsi’ definitivamente, scegliere di amare Dio e di amare i fratelli, gustare la comunione con Dio che apre la vita alla conoscenza dell’amore dei fratelli e delle sorelle, alla responsabilità per l’altro,  all’esserci-per-altri.

E allora da qualunque punto si sia partiti, si arriva a quel che diceva già l’Antico Testamento: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze»: appunto con tutte le tue forze, come ripete Gesù proclamando questo «il più grande e il primo dei comandamenti», implicante il «secondo simile al primo», cioè «amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27 e Mt 22, 37-39).

Oggi rischiamo un cristianesimo senza amore di Cristo. E di vivere una fede che non immette nella città umana l’alto potenziale dell’amore fraterno, della cura reciproca, energia necessaria perché si possa costruire la casa comune – la città e il pianeta terra che abitiamo – nella giustizia, nella solidarietà e nella pace.

Rosalia, vergine-sposa saggia, ci ricorda che non può venire meno quest’olio, l’olio della fede-amore, capace di attraversare anche la notte. Urge una fede che ci faccia amare Dio e i fratelli. Questa è la fede che ci testimonia Rosalia. La bellezza di questa fede. Un amore conosciuto e vissuto. Per Dio e per i fratelli. E mio fratello e mia sorella sono ogni persona che incontro, vicina o lontana per provenienza geografica, culturale, religiosa. A maggior ragione se porta i segni delle pesti e delle pandemie della vita, di quelle naturali e di quelle determinate dall’incuria umana, dalla bramosia voraginosa dei cuori induriti dalla mancanza di amore.

Per questo siamo saliti ancora una volta a Monte Pellegrino da S. Rosalia. Per rinnovare l’olio dell’amore di Dio e del prossimo. L’eremitaggio o il monachesimo non è l’unica forma di conoscenza e di servizio divino e di concretizzazione del cristianesimo. Ogni cristiano che voglia vivere con autenticità e gioia la sua fede deve continuare con decisione e senza tentennamenti nel suo impegno e nel proprio stato di vita. Deve continuare a vivere in famiglia, nella professione, in città. Ma Dio chiede a tutti una relazione d’amore. Non vuole vivere ai margini della nostra vita, dove spesso viene soppiantato da «intrattenimenti [che] si presentano come più attrattivi» (Gennaro Matino), né Dio vuole limitarsi a farci una dotta lezione di teologia. Ci vuole introdurre nella relazione con lui.

Rosalia è qui a ricordarci che il cristianesimo o è una relazione personale che segna la vita e tutte le relazioni oppure, oggi più che mai, è destinato a rimanere un sempre meno attrattivo intrattenimento religioso.

Ma forte come la morte è l’amore. Le grandi acque non lo possono spegnere!