100° Anniversario della presenza a Palermo delle Figlie della Carità del preziosissimo sangue

Parrocchia S. Giuseppe Cafasso
18-09-2010

    Figlie e figli miei carissimi!

    1. Le parabole giocano sempre su un effetto-sorpresa: sono una provocazione e uno scuotimento per l’ascoltatore, per il suo modo di essere, di pensare e di agire.
    Ma delle tante parabole che ascoltiamo dalla bocca di Gesù, questa è forse una di quelle che ci lascia più sorpresi: è come se rimanessimo sconcertati dal fatto che viene lodato un amministratore palesemente disonesto, che, messo alle strette dal licenziamento da parte del suo padrone, ricorre ad una frode evidente falsando le ricevute dei debitori del padrone stesso, al fine di guadagnarsi amici che possano garantirgli un futuro lavorativo.
    E il Signore lo propone ai discepoli addirittura come modello!

    2. A ben guardare, più che la disonestà di questo amministratore, viene lodata la sua ‘scaltrezza’. L’amministratore è definito e rimane sempre un ‘amministratore disonesto’, ma, nel suo atteggiamento Gesù prende alcuni tratti come esemplari per i suoi discepoli.
    È dalla ‘scaltrezza’ con la quale questo ‘economo’ reagisce al dramma del licenziamento che il discepolo deve trarre qualche lezione, evidentemente non per metterla al servizio delle logiche mondane di potere, di sopraffazione, di profitto ‘ quella logiche già condannate dai profeti dell’Antico Testamento, come ascoltato dalla prima lettura tratta da Amos ‘ , ma per guadagnare qualcosa di più alto, di più essenziale: il Regno dei cieli.
    C’è qualcosa dunque che possiamo imparare da questo ‘amministratore disonesto’.
    L’amministratore ‘ con precisione ‘ è detto agire ‘scaltramente’, con un termine che indica anche la ‘prudenza’, l’ ‘essere previggente’. È un termine che troviamo anche in altri brani del Vangelo: quando si parla delle vergini ‘sagge’ che, a differenza delle stolte, prendono l’olio per le lampade, o quando si racconta del servo che sa attendere con fedeltà e responsabilità operosa il ritorno del suo padrone, o quando protagonista è quell’amministratore fedele e saggio che sa distribuire a tempo debito alla servitù la giusta razione di cibo, in attesa del ritorno del Signore.
    Quindi l’amministratore di questa parabola, nonostante sia palesemente disonesto, con il suo atteggiamento scaltro, ma anche prudente e saggio, viene a trovarsi accostato a personaggi che nel Vangelo rappresentano i ‘figli della luce’, coloro che hanno saputo mettere a frutto una scaltrezza che, nei modi, è tipica di coloro che rimangono figli del mondo ma nelle finalità mira al Regno di Dio.

    3. Ma in che cosa consiste questo atteggiamento di ‘scaltrezza’? Cosa ci chiede più precisamente Gesù?
Credo che la parabola metta in luce tre peculiarità di questo atteggiamento ‘esemplare’, come tre linee guida che il discepolo ha il dovere di imitare.
    In primo luogo l’amministratore sa agire con prontezza. Egli non tergiversa, non recrimina, non protesta, né cerca giustificazioni. È pronto ad accogliere la nuova situazione in cui drammaticamente si viene a ritrovare, ovvero il suo licenziamento, e ed è pronto a reagire con una certa rapidità e una certa lucidità. Egli compie un discernimento che è aderente alla realtà concreta dei fatti. Non fugge dalla situazione ma la affronta, cercando di dare una risposta con una certa creatività nelle intenzioni, anche se disonesta nei mezzi.
    In secondo luogo egli riconosce i propri limiti e le proprie debolezze. Non fugge nemmeno da queste, e con esse fa i conti: ‘Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno‘. Non cerca dunque soluzioni che non siano adeguate alle proprie possibilità, anzi, le commisura e le equipara alla sua identità.
    Ma l’elemento più importante e che quest’amministratore è capace ‘ come dirà Gesù stesso ‘ di farsi ‘degli amici con la ricchezza disonesta’. Egli sa ‘ cioè ‘ trasformare i beni e le sue ricchezze in relazioni.
    Ciò che possiede non rappresenta più la stabilità della sua vita, ormai messa in crisi dal licenziamento. La sua vita diviene stabile quando si fonda su quelle relazioni che egli, con prontezza, sa creare.
    Capisce bene che non è la ricchezza, e nemmeno i beni, ma l’amicizia ‘ gli agganci giusti ‘ quella che lo salverà, quella che potrà dare, anche soltanto in termini materiali, un fondamento solido e duraturo alla sua esistenza.
    Dall’atteggiamento di questo amministratore disonesto possiamo trarre tanti insegnamenti concreti, resi visibili in particolare nell’attività apostolica della Congregazione delle Figlie della carità del Preziosissimo Sangue, di cui stasera celebriamo tutti insieme il centenario di presenza attiva ed operosa nella nostra Città.

    4. In primo luogo non possiamo fuggire le situazioni, anche quelle più drammatiche e critiche. Noi cristiani non predichiamo nessuna fuga dal mondo, anzi, visto che esso è un campo in cui far seminare il seme di Dio, dobbiamo abitarlo con creatività e ingegno.
    Le difficoltà vanno affrontate con il coraggio del discepolo, vanno cioè analizzate, fatte oggetto di discernimento, e soprattutto in esse bisogna inserirsi con quanto già si possiede, con quei doni che il Signore ci ha dato e con la fede necessaria a farli fruttificare.
    Nello spazio di un secolo, la vostra Congregazione si è inserita sapientemente in diversi contesti di povertà ed emarginazione, in situazioni anche critiche della povertà di un quartiere, secondo quanto il vostro Fondatore, il Beato Tommaso Maria Fusco, vi ha consegnato come carisma.
    Egli non fuggì mai dalle difficoltà personali della sua vita. Osteggiato nella scelta vocazionale, lottò fino in fondo per essere sacerdote. Calunniato apertamente ed ingiustamente, si batté, soffrendo, per la verità. Non si scoraggiò nemmeno di fronte alle povertà che vide attorno a sé, specie di fronte alla delicata situazione delle orfanelle, situazione di cui cercò di farsi carico fondando un’orfanotrofio.
    Il Beato Fusco reagì sempre al dramma dell’emarginazione ai limiti della società, e ‘ come l’amministratore disonesto ‘ cercò di darsi da fare per mettere in atto quell’ingegno e quell’impegno caritativo che oggi, a distanza di più di un secolo, voi continuate ad incarnare.

    5. In secondo luogo, così come l’amministratore disonesto ha fatto i conti con i suoi limiti, anche voi, sono sicuro, nelle vostre attività apostoliche, avrete fatto i conti con quelle debolezze, con quelle incertezze, con quelle incapacità, con quelle fragilità che vi siete ritrovate a vivere.
    Abbiamo il tesoro dell’amore di Dio contenuto in fragili vasi di creta, ma il Signore scommette su questa fragilità per farci comprendere che è lui la fonte dell’amore.
    I nostri limiti umani, servono a per spronarci a slanci di fede e generosità sempre più forti. Fare i conti con le proprie incapacità e con la povertà dei mezzi ci fa rendere conto che la nostra missione è di Dio. E ciò deve mantenerci nell’umiltà, così come fece il Beato Fusco, e nella consapevolezza che abbiamo bisogno dell’aiuto divino.
    Il vostra Fondatore vi ha trasmesso per questo una straordinaria devozione all’Eucaristia, la forza da cui attingere speranza e gioia anche nelle avversità. L’Eucaristia è l’amore stesso di Dio che colma il nostro limite e ci nutre per ogni buona missione per la quale siamo inviati.
    Non ebbe altro modo di definire l’amore di Dio se non ‘Carità di Sangue’, ossia un amore che veniva dal sangue di Cristo sparso sulla croce per tutti, presente nel calice del vino. Per questo ottenne che nelle acclamazioni eucaristiche accanto al ‘Benedetto il suo Sacratissimo Cuore’ fosse inserito ‘Benedetto il suo Preziosissimo Sangue’.
    Nessun altro amore se non quello di sangue. Nessun altro sangue se non quello eucaristico, che disseta l’anima e la ricolma di grazia e di forza.

    6. Infine ci colpisce soprattutto l’atteggiamento dell’amministratore disonesto riguardante le relazioni. Le Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue sono state chiamate a creare profeticamente le relazioni nuove del Regno di Dio, quelle improntate all’amore vero e alle giustizia.
    La vostra presenza è dunque profezia ancora oggi. Il Beato Fusco non esitava a dare persino i suoi vestiti per i poveri. Condivideva quanto aveva, e impiegò generosamente tutti i suoi averi e le sue rendite per la vostra Congregazione e per le sue opere di carità.
    La vostra profezia continua la sua. Testimoniate infatti che, sulla scorta dell’atteggiamento dell’amministratore della parabola evangelica, il rapporto con i beni della terra, anziché possesso da carpire con cupidigia, deve essere un bene da condividere nella solidarietà, per impegnare una qualità autentica delle relazioni, per dare un fondamento autentico alla nostra esistenza, e una speranza di futuro nel Cielo.
    La vostra Congregazione ha saputo fare della carità l’atteggiamento fondamentale, ha saputo essere attenta alla qualità delle relazioni che fossero non soltanto di mero aiuto materiale, ma anche soprattutto di collaborazione e fraternità. Per questo Palermo vi ringrazia, e chiede che il vostro lavoro sia sempre attento alle necessità dei più piccoli, soprattutto in questo quartiere in cui i bisogni si moltiplicano e le esigenze premono da più parti.

    7. La fedeltà nelle cose piccole, nella dedizione quotidiana, nel dono di voi stesse a Dio per i fratelli, è quella fedeltà che il Signore desidera, per affidare missioni sempre nuove, e sempre più esigenti. Egli ha già verificato che siete state fedeli, pur con il limite della fragilità connessa all’umanità, e per questo vuole ancora che nel disegno della salvezza ci sia un posto anche per la vostra Congregazione, e proprio in questo quartiere.
    Il vostro Arcivescovo, con la sua presenza in mezzo a voi, vi incoraggia, perché possiate essere il volto sollecito della Chiesa che si china verso i bisogni dei poveri, e che, secondo il desiderio del vostro Fondatore, può dare ancora una volta l’esempio di come il Sangue di Cristo sparso sulla croce raggiunga le pieghe dell’umano, per redimerlo, per santificarlo, per riscattarlo da ogni forma di schiavitù.