Decimo anniversario della Canonizzazione di S. Annibale Maria di Francia

Messina, Basilica Santuario di Sant’Antonio, 16 maggio 2014
16-05-2014
Ez 34,11-16.31; Sal 22; 1Cor 1,26-31; Mt 9,35-10,1

    Figlie e figli miei carissimi!

    Considero il mio essere qui tra voi, questa sera, in questa Basilica-Santuario così gremita di gente, come un particolare dono del Signore: è un dono celebrare la festa di Sant’Annibale Maria Di Francia, nel giorno in cui ricorre il decimo anniversario della sua canonizzazione, avvenuta nel 2004 ad opera di San Giovanni Paolo II.
    Ringrazio il caro padre Mario Magro, che da tempo mi ha rivolto l’invito a presiedere questa solenne Eucaristia, mentre saluto cordialmente il Superiore Generale dei Rogazionisti, P. Angelo Mezzari, e la Madre Generale delle Suore Figlie del Divino Zelo, Madre Teolinda Salemi, che, con la loro presenza ci ricordano i frutti di grazia scaturiti nel tempo dalla sequela generosa di Padre Annibale.
    Mi è gradito anche ringraziare per la loro presenza i Canonici della Cattedrale, e porgere un deferente saluto anche alle gentili e distinte Autorità che questa sera impreziosiscono con la loro presenza la nostra celebrazione. Questo ci fa auspicare una maggiore e fattiva unità di intenti e di prospettive che – sia pure in ambiti diversi – la Chiesa e le Istituzioni devono saper intrattenere per promuovere il bene comune in questo quartiere e in questa Città che Sant’Annibale ha tanto amato.

    2. Abbiamo ascoltato, nella prima lettura tratta dal libro del profeta Ezechiele, la solenne promessa di Dio al suo popolo: “Io stesso cercherò le mie pecore… le radunerò da tutti i luoghi dove erano state disperse… le ricondurrò nella loro terra… le condurrò in ottime pasture”. Osservate: tutti verbi al futuro, nella prima persona singolare, che dicono la volontà di un Dio-Pastore, che vuole intervenire nella storia del suo popolo, che non manca di compromettersi in prima persona per ridare vita alle pecore, di “scendere in campo” senza se e senza ma.
    Le pecore sono sua proprietà, perché è suo il popolo che egli ama: “Voi, mie pecore, siete il gregge del mio pascolo e io sono il vostro Dio”. Per amore Dio è disposto ad agire sempre e comunque, pronto soprattutto a recuperare ciò che sembra essere perduto. Il suo amore si manifesta soprattutto per le pecore più deboli: “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata”.
    Questo Dio-Pastore, tuttavia, agisce in prima persona…usando sempre una terza persona: l’uomo che nelle sue mani si fa strumento docile. Sant’Annibale si è resa strumento docile in questa volontà di Dio, e ha ripresentato la passione del Pastore per il suo gregge, facendosi vicino alla sua parte più povera, più ferita, più debole, proprio qui, in questa zona di Messina, che era la zona delle “Case Avignone”, quartiere allora malfamato e tristemente famoso per la sua miseria e il suo degrado.
    Nelle “Case Avignone” Sant’Annibale ripropone tutti i verbi al futuro che abbiamo ascoltato – cercherò, ricondurrò, radunerò, fascerò, curerò – ma opera un presente fattivo di carità.
    “L’Amore – diceva – non si dimostra con le parole, ma coi fatti. E coi fatti ce lo ha mostrato Gesù. Date uno sguardo a tutta quanta la vita del Nazareno: interrogate i misteri, i patimenti, le vicende del Verbo di Dio fatto Uomo, e tutto vi risponderà: ‘Amore’ ”. E con i fatti Padre Annibale ha voluto incarnare la carità di Dio, che ha affidato quella “prima persona singolare” “io” al suo “tu” creativo, al suo zelo missionario che anima le molteplici iniziative a favore dei poveri, primi fra tutti gli Orfanotrofi antoniani. la sua sarà una continua ricerca per coniugare una capillare opera di evangelizzazione con quella necessaria promozione umana: per far crescere – come diceva – “civilmente e religiosamente” i più bisognosi.

    3. Tutto questo non è lontano da noi… 
    In questo particolare momento di crisi economica, in cui aumenta dolorosamente la povertà per fasce sempre più ampie della popolazione, troviamo tante “Case Avignone” quasi accanto a noi, tante situazioni di bisogno che non avremmo potuto immaginare.
    Questo tempo, tuttavia, è una grande occasione per testimoniare il nostro essere Chiesa, il nostro impegno a saper coniugare costantemente l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come mirabilmente sintetizza Sant’Annibale: “L’ amore che io porto al Signor mio Gesù Cristo quale vero Dio, mi spinge ad ubbidire a tutte le sue parole, oltre che produce in me un’ altra fiamma di amore, cioè l’ amore del mio prossimo” (Lettera al prof. Tommaso Cannizzaro, 6/1/1916).
    Specie oggi, la testimonianza cristiana deve concretizzarsi in una revisione dei nostri stili di vita e in azioni concrete e decise di solidarietà comune, di condivisione dei bisogni dei fratelli in difficoltà con quella delicatezza ed attenzione che mai offendano la loro dignità, sapendo riconoscere nel volto dei nostri fratelli, spesso sfigurato dalla miseria e dalla emarginazione, il volto sofferente di Cristo.

    4. Tutta l’opera di Sant’Annibale, viene fuori dallo stesso sguardo di compassione di Gesù nei confronti delle folle. Quello stesso sguardo di cui abbiamo ascoltato nel Vangelo or ora proclamato.
    Uno sguardo che ci dimostra un’attenta sensibilità alla sofferenza, al dolore, alla povertà degli uomini. Uno sguardo che rivela soprattutto l’amore misericordioso di Cristo per l’umanità smarrita di tutti i tempi e di tutti i luoghi: “Guardando le folle ne ebbe compassione perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore” (Mt 9,36).
    Stanche e sfinite sono le folle. Stanco e sfinito è l’uomo che non trova riferimenti nella sua vita. Vaga incessantemente alla ricerca, e anche oggi giunge a mete che illudono, ingannano, elegge guide che lo portano fuori strada, lontano dalla vera felicità e dalla pace.
    Basta guardarsi attorno, sia ripensare davanti al Signore la nostra storia, sia leggere con i suoi occhi la vita delle persone che ci stanno vicino, di quelli che vivono nello stesso quartiere, di quanti si illudono, si ingannano, si lasciano attrarre da vie che non portano a quella felicità e a quella pace che sono un desiderio ed un bisogno profondo del cuore di ciascun uomo. 
    La compassione di Gesù per le folle bisognose crea in Sant’Annibale un santo tormento: “Che cosa sono questi pochi orfani che si salvano, e questi pochi poveri che si evangelizzano, dinanzi a milioni che se ne perdono e che giacciono abbandonati come gregge senza pastore? Consideravo la limitatezza delle mie miserrime forze, e la piccolissima cerchia delle mie capacità, e cercavo un’uscita, e la trovavo ampia, immensa, in quelle adorabili parole di Gesù Cristo nostro Signore: ‘Rogate…’ ” (Prefazione alle Preziose Adesioni, 1901, Scritti, vol. 61, p. 208).
    Il comando della preghiera incessante, del “Rogate…”, diventa la parola chiave per ricordare a Sant’Annibale, a tutta la sua Opera e a noi che ne siamo devoti ed eredi che senza il Signore non possiamo fare nulla, e che tutta nostra azione altro non è che la sua azione amorosa nei confronti del suo gregge.
    Quale pregnante insegnamento ci viene, non da complicate geometrie pastorali, né da strategie accattivanti, ma da una dedizione completa ad una vita costantemente condotta alla presenza del Signore ed ispirata alla Sua Parola, un’azione di carità illuminata dalla preghiera. “Rogate”. Una confidenza con Dio continua, assidua, silenziosa.
    L’esempio diviene per noi un confronto significativo: con cosa comincia la nostra azione apostolica, fosse anche la più semplice? La nostra preghiera è il momento in cui davvero ci fondiamo con Dio? Fino al punto da sentirne la presenza e da incarnarne poi la sollecitudine nei fratelli? Quanto sostiamo davanti al SS. Sacramento? Il Tabernacolo è il nostro punto di riferimento? La sorgente di ogni nostra azione?

    5. “Rogate…”. Pregare il padrone della messe perché mandi operai, significa pregarlo di suscitare vocazioni che si mettano al servizio degli uomini con lo stesso Cuore di Cristo. L’opera caritativa di sant’Annibale si fonde così con il carisma della preghiera per le vocazioni e l’una si alimenta dell’altra, per annunciare al mondo l’urgenza di avere operai nella grande messe di Dio e per mostrare come si debba lavorare in questa messe che attende il contributo di tutti e di ciascuno.
    Uomini e donne, non soltanto sacerdoti, che assumano quotidianamente le parole di san paolo che abbiamo ascoltato: “Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!” (1Cor 9,16). E ancora: “Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro” (1Cor 22b-23). 
    Allora Sant’Annibale, costituì una vera e propria sfida evangelica per il suo tempo, attraversato dalle contraddizioni della povertà materiale e spirituale. Oggi, soltanto la testimonianza coerente di chi davevro “tutto fa per il Vangelo” può scuotere anche questo nostro tempo caratterizzato dalla scristianizzazione e dalla secolarizzazione. 
    La sete della gente non è mai cambiata… e solo Cristo può appagare il desiderio profondo di vita e di amore insito nel cuore dell’uomo. Sant’Annibale ci insegna che questo “tutto per il Vangelo” dovrebbe “divorare” il cuore delle Chiesa, e la Chiesa siamo noi!

    6. “La messe è molta…” La compassione di Gesù si estende ai bisogni di tutti i tempi, e abbraccia ogni situazione. Per questo Dio non cessa di pensare alla continuazione della Sua opera di salvezza, confidata, per un disegno imperscrutabile della Provvidenza, agli operai che chiama a prendersi cura della Sua Vigna.
    In questo contesto non posso non pensare di chiedere insieme a voi, questa sera, a Sant’Annibale, di farsi interprete presso il Signore della supplica per il dono di tante e sante vocazioni al sacerdozio, per la Chiesa universale. Ne abbiamo bisogno. È vero! La messe è molta. Ma non è soltanto per questo che insisto dinanzi a Dio e chiedo l’intercessione a Sant’Annibale. Non è soltanto un problema di funzioni, per la garanzia di un servizio alla gente, piuttosto della necessità di autentici testimoni di santità, come lo deve essere chi, interpellato da Dio, ha lasciato ogni cosa per seguire il Signore da vicino e per ciò stesso vivere in intima comunione con Lui.
    Il popolo santo di Dio vive momenti difficili, di battaglie continue nell’intimo del cuore di ciascuno dei fedeli e nell’insieme della comunità. Abbiamo bisogno di moltiplicare le braccia levate al cielo che, come quelle di Mosè, possano aiutare uomini e donne a vincere, ad essere vittoriosi nella buona e santa battaglia, quella battaglia che ci permette di vivere come nuova generazione, come nuove creature, nella luce della gioia e nella forza della grazia che scaturisce dalla Croce gloriosa della Resurrezione.
    Per questo, seguire Cristo in tutte le possibili vocazioni è grande, è bello, entusiasmante! È ragione di vita autentica. È un modo alto di spendere la vita, senza “se” e senza “ma”. Val la pena interrogarsi sul piano che Dio ha su ciascuno di noi per spendere la propria vita sui sentieri da lui tracciati. 
    In questo Anno Annibaliano adoperiamoci con creatività ed entusiasmo affinché sia anche un anno di preghiera intesna per le vocazioni, per ripetere, soprattutto ai giovani, quel “Non abbiate paura!” che gridò accoratamente San Giovanni Paolo II quel 22 ottobre 1978 dalla Piazza di San Pietro. Una voca che, come un’eco che nel tempo, invece di affievolirsi e spegnersi, sembra essere ogni giorno più nitida e accattivante: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!” Cristo non deluderà le vostre attese e le vostre aspirazioni se vi lasciate possedere da Lui. 
    Lasciamoci sedurre dalla chiamata alla santità come ci ha insegnato il Maestro: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48).
    Sant’Annibale sperimentò con sovrabbondanza di grazia i doni di Dio che lo aveva chiamato a seguirlo più da vicino per farlo strumento di riconciliazione, di pace e di gioia per una moltitudine immensa di anime, non soltanto negli anni della sua giornata terrena. Attraverso il tempo egli continua dal Cielo ad essere mediatore presso Dio e intercessore presso il trono dell’Altissimo perché questa Grazia operi la conversione del nostro cuore e ci aiuti a proclamare la grandezza del Signore. 
    E così sia.