Festa di Sant’Agazio Martire

Cattedrale di Squillace
07-05-2012
Nm 3,5-9; Sal 116; At 6,1-7; Gv 12,24-26

    1.Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto‘. Il canto al Vangelo e il brano evangelico appena proclamato ci hanno ribadito questo duplice esito dell’esistenza del chicco di grano: da un lato non morire e rimanere solo, dall’altro morire e produrre molto frutto. Una logica ardua da comprendere e da vivere se non alla luce della vita di Gesù Cristo, e della testimonianza dei grandi santi, soprattutto i martiri, che si sono sacrificati come il loro Maestro e ‘hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello‘ (Ap 7,14).
    E quest’oggi siamo convocati dalla Trinità Santissima per far memoria di uno dei testimoni di questa ‘morte fruttuosa’ che ci è stata annunziata nel Vangelo: è la festa di un glorioso martire, Agazio, patrono della città di Squillace, le cui reliquie sono conservate in questa Cattedrale.
    Sant’Agazio è anche compatrono della Diocesi di Catanzaro-Squillace, il cui Padre e Pastore, Mons. Vincenzo Bertolone, mi è gradito salutare in questa circostanza con tanta amicizia e stima, e con i sensi di una fraternità episcopale che contraddistingue ogni nostro incontro e ogni bella e proficua collaborazione.
    Insieme a lui porgo il mio particolare saluto al Signor Prefetto, il Dott. Antonio Reppucci, al Presidente del Consiglio Regionale, On. Francesco Talarico, al Signor Sindaco di Squillace, On. Guido Rodhio. Accolgo e ringrazio per la loro graditissima presenza tutte le altre Autorità civili, militari e giudiziarie che hanno voluto condividere questo momento di gioia per la città di Squillace.

    2. Dalle notizie che la storia e la tradizione ci forniscono, Agazio (o Acacio), centurione in terra di Cappadocia, proprio come un chicco di grano gettato nel solco per morire, fu decapitato in Costantinopoli nel 311 d.C., nel corso di quell’ultima ondata di persecuzioni anti-cristiane promossa in Oriente dall’imperatore Diocleziano.
    La morte del chicco di grano Agazio ha portato frutto? Da quale prospettiva guardare al sacrificio della sua vita? ‘Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto‘. Quello di Gesù sembra un invito a vedere le cose controcorrente.
    Se il seme del grano non muore, non riuscirà a portare, come pur deve, molto frutto. Tutt’al più rimarrà in solitudine. C’è un morire del chicco di grano che, al di là del naturale scomparire e consumarsi, non è mera distruzione, non è solitudine, buio ed ombra. C’è qualcosa di più temibile per il chicco di grano: rimanere solo, senza alcuna possibilità di portare frutto. Dinnanzi a questa prospettiva, anche il morire in terra per essere fecondo in una nuova vita, non è un morire, piuttosto un vivere!
    Alla stessa maniera, il morire del martire Agazio, la cui vita biologica sembra essere soppressa in maniera irrimediabile dai persecutori che tentano di fargli rinnegare la sua fede in Cristo, apre ad una fecondità nuova ed inaudita, perché è segno eloquente della vittoria della vita sulla morte, dell’Eternità sul tempo cadùco, dell’Amore sull’odio e sull’ingiustizia. C’è dunque un morire che non è un vero morire. C’è, dunque, un morire altro, che è vivere, anzi vivere in pienezza, fino al punto di portare molto frutto, ovvero fino al punto di continuare a mostrare al mondo, nel tempo e nello spazio, la possibilità dell’amore che ricrea e vince. E’ questa la storia di Agazio. E’ questo morire che ha dato vita e che nella devozione dei fedeli di questa zona della nostra cara e amata Patria, ha guidato il cammino di santi uomini e di sante donne, ha contribuito a definire l’identità di questa città e ha permesso così di far brillare la luce di Cristo e di trasmetterla nel corso del tempo. La morte è diventata vita perché la sua devozione ha costituito il sostegno vitale della nostra fede.

    3.Chi ama la propria vita la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna‘. Gesù spiega così la metafora del chicco di grano. Amare la propria vita fino al punto da trattenerla egoisticamente, significa perderla in eterno: ogni egoismo è sterile, mortifero, disastroso, e disperde l’uomo da ciò che vale veramente, dare la vita a Dio perché se ne serva per il suo disegno di amore in mezzo agli uomini, nelle condizioni in cui ognuno si trova, valorizzando tutte le capacità che ognuno di noi ha ricevuto dallo stesso datore della vita, Dio Creatore.
    Se questo Dio della vita propone di odiare la propria vita, con una chiara antitesi volutamente iperbolica, è perché è necessario ‘giocarsi la partita dell’amore’, fino al punto da donarsi per amore, da condividere la vita, da spezzarla per ritrovarla moltiplicata, per farne partecipi i fratelli: così si anticipa l’Eternità, in quella che sembra morte ed è invece vita oltre ogni morte, vita piena e buona, vita donata e ritrovata, vita eterna: perché il vero amore è in grado di conservare per sempre la vita, e di produrre molto, molto frutto.
    Pensate, il frutto è la testimonianza di Agazio che non ha rifiutato la morte pur di rimanere fedele a Cristo, attaccato a Lui, dando testimonianza con il dono della sua vita.

    4. E’ questo il motivo per il quale, come al non morire del chicco di grano viene contrapposto il morire, così al suo rimanere solo viene contrapposto il portare molto frutto: il portare frutto della morte per amore è sempre la comunione, la tessitura di relazioni durature e nuove, la fecondità di una condivisione che va oltre il limite dell’umana fragilità.
    Chi sta sempre centrato solo su se stesso, sulle sue necessità, sui suoi diritti, sulle proprie posizioni impastate di orgoglio ed egoismo, non si aprirà mai veramente al vivere autentico.
    Penso a tante famiglie nelle quali i rancori e le incomprensioni generano tensioni, allontanano dalla pace e dall’amore. Penso alle relazioni nei nostri ambienti di studio e di lavoro, come pure a tante deleterie divisioni all’interno delle nostre comunità cristiane. E troppo spesso tali rancori e tali divisioni partono dall’attaccamento ai beni materiali o dalle proprie prese di posizione alle quali non si rinuncia.
    Carissimi, il frutto di cui parla Gesù è sempre frutto di comunione! L’amore ci spinge ad uscire da noi stessi e ad accogliere e comprendere i fratelli, a camminare con loro per le stesse strade difficili, a farci davvero ‘prossimo’ di chiunque incontriamo, a partire proprio da coloro che vivono vicini a noi: ‘La carità si esercita prima di tutto con quelli di casa‘ ‘ amava dire il Beato Giovanni XXIII.

    5.Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore‘. E’ l’invito di Gesù. E’ il seguito dell’antitesi che definisce ancora meglio questa duplice viabilità dell’esistenza. Servire Cristo è seguirlo. Dove? Proprio sulla via del chicco di grano, che morendo non rimane solo ma condivide la fecondità dell’amore, come fece con Sant’Agazio.
    Morire come il chicco di grano, perdere la vita in una nuova logica, ‘donarsi’ sull’esempio di Sant’Agazio, ci sprona a guardare ai problemi più urgenti, ad interessarci di coloro che vivono nel bisogno, ad accogliere i fratelli, specie coloro che rischiano di vivere ai margini della nostra società, coloro che si sentono meno amati o rischiano di fatto di esserlo. ‘Odiare la propria vita‘ significa metterla a disposizione con generosità e gratuità in qualsiasi rapporto con i fratelli, che ‘ con lealtà ‘ serviamo senza doverci attendere nulla in cambio, evitando di cadere nella logica del contraccambio e dell’opportunismo.
    Gesù ci ha invitato ad amare il prossimo seguendo il suo volere: ‘amatevi come io vi ho amato’. E ciascuno di noi ha sperimentato nella propria vita che il Signore ci ha amati aldilà delle nostre infedeltà, aldilà dei nostri tradimenti, aldilà dei nostri allontanamenti e è stato vigile, ha bussato alla porta fino a che il nostro cuore non si è nuovamente spalancato e si è lasciato abbracciare dal suo amore misericordioso.
    In tal modo, la duplice possibile vicenda di ogni chicco di grano diviene la metafora dell’amore genuino, quello che Gesù ha vissuto in pienezza nella sua esistenza terrena, e che ogni discepolo che vuole farsi suo servo deve imitare: ‘Chi mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore‘.
    Seguire Gesù nella sua sollecitudine è stare accanto a chi ha il cuore ferito, a chi si è allontanato dalla grazia, a chi ha tradito, perché Lui è venuto per curare i malati, non per essere proclamato re da coloro che si dicevano santi.
    Cioè: ogni servo, che voglia dare testimonianza, essere disponibile, come sant’Agazio, ad odiare la propria vita per ritrovarla eterna, dovrà sposare in pieno la logica del chicco di grano, ossia la logica della Pasqua di Gesù, per un autentico servizio sulle orme del Servo di Jahwè.
    Una sequela diaconica (cioè di servizio) e agapica (cioè di amore fraterno gratuito) a cui siamo chiamati tutti, ciascuno con la propria vocazione.

    6.Non è giusto che noi lasciamo da parte la Parola di Dio per servire alle mense’ Cercate tra voi sette uomini’‘. Questa sequela diaconica ed agapica non può che essere anche profondamente ecclesiale. Il brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo proclamato ci aiuta a capire che ogni autentico seguire e servire è sempre all’interno dell’unico Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa, nuova tenda di Dio, perché sua Famiglia vivente.
    Nelle lamentele e nei contrasti della prima comunità cristiana di Gerusalemme vediamo chiaramente il modo in cui i discepoli del Risorto leggono le istanze e i bisogni del momento e, sotto l’azione dello Spirito, si riorganizzano, si re-inventano, si ri-leggono, adattandosi per meglio rispondere alle esigenze con l’istituzione di ministeri gerarchici, come ci racconta il libro degli Atti, cercando un servizio sempre più differenziato e qualificato.
    Ma tutti i carismi e tutti i ministeri, tutti gli apostoli e tutti i diaconi, tutte le diverse funzioni e tutti i martìri’ esistono in vista della con-costruzione, in vista della corresponsabilità nell’unica Chiesa di Dio, come popolo radunato dal Signore e guidato dal Pastore eterno, Gesù. È una lezione per il nostro modo di ‘essere’ e ‘fare’ Chiesa, oggi in tempi in cui, con l’aumentare delle sfide e dei bisogni aumenta anche la necessità dell’unità, sotto il Vicario di Cristo. La Chiesa è un popolo santo che cammina guidata dal Pastore eterno, Gesù, è qui sulla terra, il cui mandato è confidato al Vicario di Cristo, il Successore di Pietro nella sede di Roma.

    7.E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente‘. La piccola lista di nomi dei servitori alle mense della prima comunità cristiana, non potrà che ingrandirsi e moltiplicarsi. Stefano sarà il primo di una lunga schiera di testimoni, dal cui sangue la Chiesa sarà irrorata e prenderà vigore la sua rapida diffusione nel mondo intero: Sanguis martyrum-semen christianorum, il sangue dei martiri è germe di cristiani, scriveva Tertulliano (Apol., 50,13).
    Ecco questo sangue di Agazio che è stato il germe della nostra fede, attraverso i secoli, accompagnando ed ispirando questo popolo santo di Squillace.
    Se non fosse stato per quella seminagione di martiri e per quel patrimonio di santità che caratterizzarono le prime generazioni cristiane, forse la Chiesa non avrebbe avuto lo sviluppo che tutti conosciamo.
    Se non fosse stato anche per la seminagione di Agazio, questa Città e questa Chiesa diocesana non avrebbero avuto lo sviluppo cristiano, che auspichiamo sempre più in incremento e in pienezza. Nel nostro secolo, in questa nobile diocesi, ritornino i testimoni che servono Cristo, mai da soli, nelle varie forme della comune vocazione alla santità! Così come ci ha insegnato il Beato Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente (n. 37).
    Il nostro impegno di vita autenticamente cristiana forse non porterà al martirio cruento di cui morì Sant’Agazio. Ma certo porterà alla ‘testimonianza di fedeltà a Dio e ai fratelli, per lasciare esempi forti alle generazioni future, alle nuove famiglie che si costituiranno, ai giovani in ricerca e spesso ingannati dal mondo: dobbiamo pensare che dal nostro esempio di coerenza può dipendere l’eredità non della sfiducia e del disinteresse, né delle logiche del compromesso e del potere, ma quella di valori solidi, radicati nelle famiglie, sperimentati negli affetti, espressi nella solidarietà e nel perdono, amanti della pace e della giustizia.
    Come lo è stato per Sant’Agazio, la scommessa più grande del nostro vivere e del nostro morire è l’incontro vivo con Cristo, la fede piena in lui, la frequentazione della sua Parola e del suo insegnamento che ci apre ai fratelli nella carità, che ci fa vivere la pace nelle famiglie, che ce le fa costruire secondo la legge di Dio, e non secondo logiche umane di convenienza ed egoismo, non con falsità e compromessi, non con stili di vita che inclinano alla menzogna, allo scandalo, al relativismo, alla libertà senza limiti, quella che tradisce la vera dignità dell’uomo come creatura a immagine e somiglianza di Dio.
    Agazio ci ha dato l’esempio. Agazio ci ha accompagnato nel nostro cammino. Non allontaniamoci da questo esempio e da questa testimonianza.
    E nella gioia di questa festa invocheremo il dono dello Spirito Santo per questi giovani che sono stati preparati a ricevere il sacramento della Cresima. Per loro chiediamo uno Spirito di consiglio, uno Spirito di sapienza, uno Spirito di fortezza, uno Spirito del santo timore di Dio.
    Perché loro e tutti noi possiamo avvertire Dio sempre presente nelle nostre vite, non soltanto nel momento in cui ci troviamo insieme riuniti in preghiera, ma quotidianamente, nelle nostre case ‘ ricordando che il focolare cristiano è una piccola chiesa domestica ‘ nell’ambiente del nostro lavoro, nelle nostre attività, nel nostro tempo libero.
    Così conosceremo e riconosceremo continuamente che Dio ci ama, ci segue e ci accompagna sempre.
    E così sia.