Festa Insieme Regionale

Diaconi di Sicilia
03-07-2005
1. Domenica scorsa Gesù ci ha ricordato che la sua sequela consiste nello sforzo quotidiano di imitarlo. Oggi il nostro Maestro precisa in che cosa soprattutto dobbiamo imitarlo: nella mitezza e nell’umiltà. «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Vangelo ).
    Così lo aveva preannunziato Zaccaria, come abbiamo ascoltato nella prima lettura. Alla «Figlia di Sion», ossia alla comunità giudaica oppressa anche dopo l’esilio dalla dominazione straniera, il profeta rivolge l’invito alla gioia, perché sta per venire il suo re.
    Un re diverso dagli altri. «Giusto e vittorioso». Ma soprattutto «umile».
    Non si affiderà ai mezzi militari. Anzi «farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme». Ed entrerà nella città santa cavalcando «un puledro figlio di asina», certamente non degno di un trionfo regale.
    La sua forza irresistibile sarà la sua parola, con la quale «l’arco sarà spezzato», perché egli «annunzierà la pace alle genti».
    «Il suo dominio» sarà universale. Ma non si fonderà né sulla violenza della guerra calda né sui tatticismi diplomatici della guerra fredda, bensì sull’equità e sulla giustizia.
    Nella pienezza della visione messianica, quel re sarà Dio stesso, il cui «regno è regno di tutti i secoli» e il cui «dominio si estende ad ogni generazione».

2. La profezia diventerà storia nell’umile e trionfale ingresso di Gesù in Gerusalemme, prima della sua passIone. Ma solo «i piccoli» comprenderanno quel gesto che realizzerà una promessa che non sarà mai compresa dai «sapienti» e dagli «intelligenti» del tempo.
    Una previsione amara che Gesù fa presente nella preghiera di benedizione al Padre (Vangelo), nota come «Inno di giubilo», perché pronunciata da Gesù «esultante nello Spirito Santo».
    Una preghiera tanto più densa di insegnamenti quanto più breve di parole: «Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli».
    Un riconoscimento della predilezione divina per gli apostoli e per i discepoli, ma anche un efficace espediente pedagogico per disporli alla rivelazione del mistero più incomprensibile: quello della sua filiazione divina.
    Chiama Dio col nome familiare di «Padre» nello stesso momento in cui lo riconosce «Signore del cielo e della terra». Una rivelazione tenuta nascosta ai «sapienti e agli intelligenti», ossia agli scribi e ai farisei, perché mai questi l’avrebbero accettata, come documenteranno i fatti successivi. Sarà appunto l’affermazione della sua filiazione divina il capo di accusa della sua condanna a morte.
    Eppure la sua testimonianza non ammette dubbi o equivoci.
    Per questo Gesù è la rivelazione completa e definitiva del Padre. Ma solo chi è umile può accoglierla.     L’intelligenza non si oppone alla fede. Anzi è attraverso l’intelligenza che la Parola di Dio genera la fede. Ma è necessario che l’intelligenza sia libera da pregiudizi e da presunzioni, consapevole dei suoi limiti di fronte al mistero che infinitamente la trascende. Come i sapienti e gli intelligenti di ieri, anche quelli di oggi – soprattutto sotto l’influsso del secolarismo scientista – non riconoscono questi limiti, e perciò trovano difficile se non addirittura impossibile accettare i dati della fede, come se fossero irrazionali o frutto di superstizione.

3. La fede, d’altra parte, non può essere ridotta a semplice conoscenza o accettazione intellettuale della rivelazione. E’ la traduzione della verità nella vita: è la stessa condotta morale del cristiano.
    E in questa prospettiva Gesù ci invita ad accogliere la sua legge. La quale è indicata sì con le immagini bibliche di quella messianica, «giogo» e «carico», espressive anche del rapporto tra maestro e discepolo, ma con una precisazione: «Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero».
    Non nel senso che la sua legge, quella dell’amore, non sia difficile o esigente: anzi è la legge della croce. Ma nel senso che essa è grazia. È la sua stessa forza di amare, che viene infusa in noi con la fede. E perciò la sua osservanza non solo è possibile, è doverosa: «Prendete il mio giogo sopra di voi», E diventa per giunta sorgente di liberazione, di pace interiore e di gioia: «e troverete ristoro per le vostre anime».

4. Questa motivazione sta alla base delI’invito e della promessa che il Signore oggi rIvolge anche a noi: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò».
    Siamo soggetti tutti a stanchezze e a oppressioni. Ma la stanchezza più paralizzante è quella dell’anima, quando è oppressa dal dominio dell’egoismo e dell’orgoglio, dal peccato che genera le peggiori schiavitù ed è fonte di ansietà, di alienazione e di angoscia.
    Per questo San Paolo nella Seconda Lettura ci ricorda che noi «non siamo sotto il dominio della carne ma dello Spirito». E ce ne dà ragione: «dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi», in forza del Battesimo. È lui, lo Spirito, il principio dinamico di tutta la vita del cristiano. A tal punto che «se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene». Un principio dinamico che permea tutto l’essere, anima e corpo, nella prospettiva della risurrezione finale che è opera dello «Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti».
    Logica ed impegnativa è la conclusione a cui giunge l’apostolo: «Così, dunque, fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se voi vivete secondo la carne, voi morirete». Le passioni infatti conducono al peccato che è la morte della vita soprannaturale.
    «Se invece con l’aiuto dello Spirito», valorizzando cioè i suoi doni, «voi fate morire le opere del corpo», quali sono i vizi capItali con le loro proliferazioni, «vivrete» .

5. L’invito alla mitezza e all’umiltà è rivolto indistintamente a tutti i cristiani, ma in modo particolare a noi ministri sacri.
    Poiché con il ‘dono’ dell’Ordinazione siamo stati configurati in tutto il nostro essere a Cristo, capo e servo della Chiesa, a lui dobbiamo conformarci nella nostra vita, soprattutto nello spirito di servizio. Gesù infatti è venuto non per essere servito ma per servire e il ministero diaconale richiama questa scelta fondamentale del Servo di Dio per eccellenza, che voi, come sue icone sacramentali, siete chiamati a prolungare a vantaggio e nel cuore della Chiesa, tutta ministeriale, tutta diaconale, perché tutta a servizio di Dio e del mondo.
    Nella Chiesa tutta ministeriale, tutta diaconale, i segni sacramentali specifici di Cristo servo siete voi diaconi. Con l’ordinazione e l’effusione dello Spirito Santo siete stati configurati a lui, in quanto servo, in tutto il vostro essere e per sempre: indelebile, infatti, è il carattere impresso nella vostra anima.
    Da questa assimilazione ontologica a Cristo servo che definisce la vostra identità scaturisce il vostro ministero, come animatori della diaconia, del servizio, che è parte essenziale della missione della Chiesa.
    D’altra parte, e proprio per questo, con l’ordinazione diaconale avete ricevuto una specifica grazia sacramentale, che è forza soprannaturale, vigore speciale, dono sempre dinamico non solo per vivere la nuova realtà operata dal Sacramento, ma anche per servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia della Parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio.

6. Per questo dovete essere costantemente, come dobbiamo essere tutti, alla scuola del Maestro, che ci ripete ogni giorno: ‘Imparate da me che sono mite e umile di cuore’. La mitezza e l’umiltà sono le caratteristiche del servizio, che ha come unico scopo la gloria di Dio e non la nostra gratificazione, per cui è gradito a Dio e anche al suo popolo solo quando è esercitato con i segni più affascinanti della sua presenza divina, così come li enumera S. Paolo nella lettera ai Galati, presentandoli come frutto dello Spirito: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé’.
    Si comprende allora perché la spiritualità diaconale deve essere contrassegnata e animata dallo spirito di servizio e perché il vostro impegno ascetico deve essere volto ad acquistare quelle virtù che sono richieste dall’esercizio del vostro ministero. Tutto questo, per quanti di voi sono sposati, deve essere sostenuto anche dalla spiritualità coniugale e familiare, che vi consente non solo di dirigere bene i vostri figli e le vostre famiglie, come scrive S. Paolo a Timoteo (1Tm 3,8), ma anche, e di conseguenza, a dedicarvi preminentemente alla pastorale familiare con la grazia dei due Sacramenti dell’Ordine e del Matrimonio.
    ‘Tra le virtù evangeliche richieste dall’essere e dall’agire diaconale, hanno particolare rilevanza: la preghiera, la pietà eucaristica e mariana, un senso della Chiesa umile e spiccato, l’amore alla Chiesa e alla sua missione, lo spirito di povertà, la capacità di obbedienza e di comunione fraterna, lo zelo apostolico, la disponibilità al servizio, la carità verso i fratelli’ (Norme, n. 32).

7. Maestra impareggiabile nella scuola di Gesù è la Madre sua, Maria, la serva del Signore per eccellenza.
    Maestra di fede, ci insegna ad ascoltare, mettere in pratica e annunciare fedelmente il Vangelo del suo Figlio.
    Maestra di carità, ci insegna a donarci generosamente nel servizio del popolo di Dio, soprattutto di quanti soffrono nel corpo e nello spirito.
    Maestra di preghiera, ci insegna a scoprire sempre di più il primato dell’incontro col Signore, dal quale bisogna ripartire ogni giorno.
    Maestra di umiltà, ci insegna a farci più piccoli quanto più grandi sono i servizi che ci vengono affidati.
    Maestra del servizio nascosto, ci insegna la gioia di servire la Chiesa con ardente amore, soprattutto quando il nostro servizio non viene accolto o apprezzato o adeguatamente valorizzato.
    Donna del sì, ci insegna che l’unica ricompensa ambita qui sulla terra è sapere che facciamo la volontà del Figlio suo, che ci ha chiamati, consacrati e mandati.