Giornata della Memoria delle Vittime della Violenza

Memoria dei Santi delle Chiese di Sicilia
Chiesa Cattedrale, 5 novembre 2007
05-11-2007

Fratelli e sorelle amati dal Signore ed a me carissimi!


 


Assai significativamente, ci ritroviamo in Cattedrale per celebrare la ‘Giornata della memoria’ delle vittime di ogni violenza, occasione fortemente voluta dal compianto Cardinale Salvatore Pappalardo, momento forte nel quale ci raccogliamo a riflettere sulla testimonianza di quanti non si sono lasciati intimidire dalla prepotenza e dalla sopraffazione dilagante, ed hanno pagato, per questo, con la vita il loro impegno di garantire e promuovere la legalità, quella legalità che proprio oggi ha segnato un passo decisivo con la cattura dei latitanti Lo Piccolo.


Li ricordiamo tutti insieme e senza distinzione, nella memoria liturgica dei Santi delle Chiese di Sicilia, uomini e donne che hanno testimoniato per primi come la nostra Regione abbia dato fulgidi esempi di santità e di abnegazione nel servizio a Dio e ai fratelli. Abbiamo presenti tutte le vittime della violenza che ci ricordano come questa nostra Terra sia ancora ferita e umiliata da tante forme di ingiustizia, prevaricazione, illegalità, attuate dalla malavita organizzata e non, e in particolare dalla tentacolare mentalità mafiosa pericolosamente capace di soffocare i germi di bene della nostra splendida civiltà.


In questa memoria ci lasciamo guidare dalle pagine della Scrittura or ora proclamate, pagine che rivelano il misterioso piano di salvezza di Dio nei confronti dell’uomo, e la sua premura sapiente e paziente ad un tempo.


 


1. Abbiamo ascoltato il brano genesiaco che racconta il primo omicidio della storia del genere umano. La dolorosa vicenda di Caino e Abele dimostra come l’umanità di tutti i tempi sia pesantemente segnata dalla violenza, da ogni tipo di violenza, financo quella omicida, la quale ‘ nella logica del Vangelo ‘ è violenza fondamentalmente fratricida. Nell’uccisione di Abele da parte del fratello Caino, l’Autore sacro cerca di farci comprendere quanto estrema possa essere la violenza dell’uomo nei confronti dell’uomo, che è sempre suo fratello.


Saremmo tentati di fermarci ‘ quasi giornalisticamente ‘ al solo episodio, paradigmatico, per quanto sia, della triste vicenda umana di tutti tempi. Ma è necessario chiederci di più. Da che cosa trae origine questa violenza? Quali sono le sue radici, e dove si annidano?


Insieme alla cronaca di un fratricidio, la Scrittura ci offre una risposta. La violenza nasce dal cuore dell’uomo, e lo marchia pesantemente perché questo stesso cuore è fin dall’inizio segnato dal peccato. Il cuore di Caino, come quello di ogni uomo, reca la ferita della colpa originaria, che pone nella sua esistenza una duplice possibilità, quella dell’accoglienza della luce di Dio o quella della complicità con le tenebre.


Creato libero da Dio, ogni uomo è posto dinanzi ad una scelta capitale, che può egualmente risolversi verso il bene o verso il male. E la sua libertà è tale che egli non può mai dirsi totalmente schiavo del peccato, né fatalisticamente e automaticamente determinato al bene: solo l’opzione fondamentale della sua vita può orientarlo, e delle sue scelte non può farsi carico nessun altro.


È quello che il testo sacro vuol dirci quando, dinanzi all’irritazione invidiosa di Caino per l’offerta di Abele, il Signore, anziché interrompere il dialogo con lui, lo ammonisce ricordandogli la sua libertà di fronte al male: «Se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è la sua bramosia, ma tu dominala». L’uomo resta libero dinanzi al peccato, lo può e lo deve dominare. Ma in Caino prevalgono alla fine sentimenti di odio e di gelosia, che sfociano nell’atto omicida e sanguinoso dell’uccisione del fratello: Caino sceglierà il peccato che, poco prima «accovacciato alla porta del suo cuore», entrerà ora nel suo insano modo di agire, determinando le sorti della sua vita.


 


2. Affinando lo sguardo sapienziale con il quale cogliamo la realtà, cari fratelli e sorelle, siamo spronati a percepire alla stessa maniera che origine di ogni violenza, di ogni tentativo di sopraffazione, di ogni tipo di cultura di morte, di ogni idolatria materialistica ed edonistica, di ogni vendetta e rancore, è proprio il peccato. E comprendiamo bene che la logica del peccato sta proprio alla porta del nostro cuore, accovacciata e pronta ad entrare nelle nostre azioni, nella nostra vita.


Questa logica del compromesso, dell’ambiguità, della menzogna, così vicina a noi perché visibile nella società in cui ci è dato di vivere, è stata ben avvertita da tanti nostri fratelli e sorelle che si sono percepiti ‘ al contrario di Caino ‘ quali veri e propri «guardiani» dei fratelli, vigilando affinché molti potessero essere corretti nel male e potessero essere indicati loro sentieri di giustizia, di legalità, di solidarietà e pacifica convivenza.


«Dov’è Abele, tuo fratello?». Dinanzi a questa domanda posta loro indirettamente da Dio, spesso attraverso la presa di coscienza delle condizioni degradanti della società del nostro tempo, tanti servitori dello Stato e della Chiesa non hanno sposato la perversa logica della menzogna, del nascondimento, dell’immobilismo vile ed omertoso, rispondendo alla maniera di Caino: «Sono forse io il guardiano di mio fratello?». Si sono piuttosto prodigati per andare incontro agli altri, e si sono fatti per loro autentici custodi, fino a pagare con la vita l‘amore agli uomini della nostra Terra, desiderandone unicamente il riscatto dall’umiliazione della violenza che la affligge, sperando tenacemente in un futuro di maggiore giustizia e legalità, di sempre più crescente attenzione al povero e all’indifeso.


Ricordando questa misura alta della loro vita ordinaria, dei loro doveri svolti diligentemente e con amore e responsabilità, dell’esito della loro vita, non possiamo che rimanere profondamente colpiti, umanamente ammirati, cristianamente spronati, mentre non cessiamo di farci vicini con la preghiera e la presenza ai loro familiari che saluto e ringrazio per il sostegno e la partecipazione.


 


3. «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!». Non possiamo negare, carissimi fratelli e sorelle, che anche dalla nostra terra di Sicilia grida la voce del sangue di tante ‘ troppe ‘ vittime della violenza, protagonisti di omicidi premeditati ed efferati che a ragione la Chiesa indica come ‘peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio’.


E non possiamo nemmeno trascurare di riflettere come la violenza e il male perpetrati a danno dei singoli, si ripercuotano in modo subdolo e contorto sull’intera società. Accanto all’infelicità che la violenza genera, da una parte, in chi la compie e la ammette, e, dall’altra, in chi la subisce, sta anche il disastroso dissesto che essa provoca nel volto della vita sociale, negli equilibri dell’umana convivenza, nella serenità dell’ambiente civile dell’uomo.


Per questo, la nostra Terra, la nostra società ha bisogno di fare memoria, di ritrovarsi in occasioni come queste, di celebrare autenticamente giornate come questa.


Raccogliersi per la ‘Giornata della memoria’ esprime, in primo luogo, la capacità di non dimenticare facilmente, di non disperdere l’orientamento che tanti uomini e donne hanno voluto dare alla propria esistenza, offrendo il loro esempio per testimoniare i valori che li hanno spinti a compiere con coraggiosa determinazione e fino in fondo il proprio dovere.


La loro memoria non può cadere nell’oblio, e richiama alla coscienza di tutti che nessuno di noi può restare indifferente di fronte alla violenza, soprattutto di quella mafiosa. Nessuno di noi può ripetere l’ipocrita domanda: «Sono forse io il guardiano di mio fratello?». E anche per questo non si può, non si deve abbassare la guardia: il dovere della vigilanza, sebbene con ruoli e strumenti diversi, riguarda proprio tutti, nessuno escluso.


In secondo luogo, la ‘Giornata della memoria’, tenendo vivo l’esempio dato da questi nostri fratelli, non può non proiettarsi inevitabilmente verso il futuro della nostra terra. C’è ancora tanto da progettare, da fare, e il loro sangue non cessa di interpellarci in merito alla nostra capacità di costruire il futuro fondandolo sulla civiltà dell’amore.


 


4. In che maniera veniamo interpellati noi credenti?


Il brano evangelico che abbiamo ascoltato ci ha presentato un passaggio significativo del discorso della montagna di Gesù. «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente». Il Signore cita la legge del taglione, un’antica norma di giustizia che aveva l’obiettivo di garantire la parità delle offese, e, dunque, di non permettere un’ingiusta sopraffazione fra gli uomini che venivano a contesa. Una legge vecchia quanto il cuore peccatore dell’uomo, convinto di porre rimedio all’offesa con l’offesa, di risolvere la violenza con la violenza.


«Ma io vi dico’». Gesù contrappone a questa vecchia legge del taglione, un nuovo riferimento normativo, non più esterno, imposto dall’alto, ma proposto direttamente a partire dalla sua esperienza di vita, dalla sua prossimità agli uomini, dall’amore dimostrato nell’esempio di donazione ai fratelli. Gesù, prima vittima della più grande violenza mai consumatasi nella storia del mondo, continua a donarsi, a riporre fiducia nell’uomo, rifiutandosi di credere all’immobilismo del suo cuore, scommettendo sulla possibilità del cambiamento, morendo per lui, per amore suo.


Questo è il Vangelo che ci viene annunziato. Questo il programma di vita che ci viene proposto, il quale mira al cambiamento radicale del cuore dell’uomo, perché lo considera in modo diverso, cioè aperto alla conversione.


Se è vero che ogni tenebrosa ingiustizia, ogni vile sopraffazione, ogni efferata violenza hanno origine nel cuore dell’uomo segnato dal limite del peccato, la vicenda d’amore di Gesù Cristo ci dimostra che questa situazione non è definitiva, tristemente immutabile: Gesù, per primo, ha scommesso nella possibilità che l’uomo incontri la luce, e che in essa si risolva a camminare. Questo è l’esempio che egli ci ha lasciato. Questo è l’amore concreto che ci ha dimostrato perdonando e pregando per i suoi persecutori. Questo è l’invito che egli fa ad ogni vittima della violenza: non smettere mai di credere nella possibilità che il cuore dell’uomo possa cambiare.


Aprirsi a questa fiducia appare difficile, ma non impossibile. Tanti uomini e donne hanno pagato con la vita tale scelta, tale scommessa sulla possibilità che si costruisse sempre più il Regno di Dio in mezzo agli uomini, che esso si incarnasse in una società più giusta e solidale. E nella difficoltà di aver messo in pratica il «porgi l’altra guancia» evangelico hanno sperimentato che se non si vuole rispondere alla violenza con la violenza, se si vuole davvero essere disposti verso l’altro, ci si deve aspettare che l’altro ‘ lento a cambiare ‘ torni pure a colpire una seconda volta.


L’esempio ‘ anche non esplicitamente credente ‘ di tanti fratelli e sorelle di cui stasera facciamo memoria, ci indica l’obiettivo che noi dobbiamo cercare di raggiungere: amare fino in fondo i fratelli, fino al punto da amare i nemici ‘ soprattutto i nemici ‘ per essere autentici figli di Dio Padre, che non compie parzialità fra gli uomini, che non condanna ma corregge, che non fa morire il peccatore ma vuole che si converta e viva. Quel Dio che non abbandona neanche l’omicida Caino, e che gli dona un segno perché nessuno possa compiere contro di lui una vendetta arbitraria, ci sprona ad allargare gli orizzonti del nostro cuore, sacrificando prospettive personali, insensati pregiudizi e quell’atavico senso di rassegnazione che troppo spesso ci contraddistingue.


Le vittime della violenza che oggi ricordiamo, sono anche segni della speranza, perché hanno allargato il loro cuore per migliorare le condizioni di vita di tanti che non conoscevano direttamente, e persino delle generazioni future alle quali hanno lasciato il loro esempio di sacrificio e di abnegazione sinceramente creduta e vissuta.


 


5. Mi rivolgo soprattutto ai giovani, alcuni dei quali ho avuto la gioia di incontrare stamane, insieme al Signor Sindaco e al Signor Provveditore agli Studi, presso il Liceo ‘G. Galilei’.


Carissimi giovani, di questa ‘Giornata della memoria’ voi siete i primi destinatari, non perché coinvolti dall’esterno in un evento cittadino, sociale, ma perché spronati nel profondo delle vostre scelte a perseguire le vie del bene, a camminare nella luce, a battervi con coraggio per la verità e la giustizia. Il futuro di questa nostra terra a vario titolo vi appartiene. E quando vi chiedete dove stiano i segni che Dio pone in mezzo a noi, guardate all’esempio lasciatovi da chi vi ha preceduto, comprendendo ‘ senza superficialità né ideologismi ‘ come il Dio della vita e dell’amore continui a camminare sulle strade dell’umanità segnata dal peccato e a manifestare la sua bontà nella donazione e nel sacrificio di quanti sono stati chiamati a rendere più luminose le strade dell’umana società.


Questa ‘Giornata della memoria’, già pensata dal Card. Pappalardo per la nostra Città, oggi viene affidata a voi, perché facciate tesoro non tanto dell’evento, quanto del valore della testimonianza che può ‘ nell’adesione personale e nelle scelte di vita ‘ costruire un futuro migliore.


 


Sia questo il senso da dare alla nostra ‘memoria’. E questi sentimenti si arricchiscano della celebrazione del mistero d’Amore che si compie in questo memoriale eucaristico. La presenza di Cristo, vittima immolata per la nostra salvezza, continui a custodire i germi di bene che vengono seminati e germogliano anche nella nostra società, e ci sproni a custodire nell’azione feconda i nobili frutti che finora, pur tra lacrime e sacrifici, sono stati raccolti.