Omelia di S.E. il Card. Paolo Romeo, Arcivescovo Metropolita di Palermo in occasione dello svelamento della sepoltura di Giovanni Falcone

Chiesa di San Domenico
23-06-2015
Fratelli e sorelle miei carissimi,
in questo giorno solenne, in cui celebriamo la Natività del Battista, siamo riuniti in questo tempio, Pantheon degli uomini illustri della nostra amata terra di Sicilia, che oggi si arricchisce maggiormente grazie alla presenza delle spoglie mortali del giudice Giovanni Falcone. Sono ormai trascorsi ben 23 anni dalla sua barbara uccisione per mano mafiosa, e nonostante il trascorrere del tempo, le sue idee, le sue parole e il suo esempio, sono da sprone per tutti noi, uomini e donne di buona volontà.
Questa Messa, celebrata in suffragio suo, e di tutti gli uomini e le donne uccisi per aver servito lo Stato e la giustizia – ed oggi non possiamo dimenticarci di Paolo Borsellino –  sia per noi non solo un mero ricordo, ma impegno concreto al servizio del vero bene comune. 
La natività del Battista è una festa molto antica. Assieme alla Vergine Maria, Giovanni è l’unico santo di cui si ricorda anche il giorno della nascita. E questo perché la loro vita è inspiegabile senza il riferimento a Gesù: sono nati per Gesù; Maria per esserne la madre e Giovanni per preparargli la via.
Nella prima lettura proclamata, abbiamo ascoltato la vocazione di Geremia, questo giovane che non si sente pronto a rispondere alla chiamata di Dio perché riconosce di non avere in sé la sapienza dell’età adulta, del saggio che parla con verità e franchezza. L’esperienza della chiamata è vissuta come qualcosa di problematico, come l’appello ad entrare in una condizione di permanente difficoltà e pericolo. Proprio per il fatto di essere «giovane», Geremia si sente inadatto ad esercitare una funzione autorevole, a imporre agli altri una parola normativa, a parlare «veramente» in modo che il suo dire diventi luogo di obbedienza. Ma il Signore, come vediamo, lo sceglie e lo consacra, rivolgendogli queste parole: «Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti».
Geremia è inviato da Dio, e il suo agire profetico proviene esclusivamente dalla chiamata vocazionale fatta da Dio. Le sue parole saranno le stesse parole che Dio gli porrà sulle labbra, parole in grado di scuotere le coscienze, anche le più dure, come quelle che incontrerà lungo il suo cammino.  
Così ognuno di noi è chiamato a rispondere alla propria vocazione, a quella chiamata che Dio rivolge nell’intimo del nostro cuore, a non avere timore delle nostre fragilità e miserie, ma a fidarci di Dio lasciandoci guidare da Lui nei pensieri, nelle parole e nelle azioni.  
L’evangelista Luca narra la nascita di Giovanni Battista in modo parallelo a quella di Gesù. Anche su di lui si è posato lo sguardo del Signore. L’angelo del Signore appare a Zaccaria mentre svolge il suo servizio nel Tempio e gli annuncia la nascita del figlio. Un annuncio che appare a Zaccaria inverosimile, visto che sua moglie, Elisabetta, è ormai avanti negli anni. L’angelo insiste e suggerisce a Zaccaria anche il nome che dovrà dare al bambino: “Lo chiamerai Giovanni”, che significa “Dio è benevolo”. La nascita di questo bambino, cantata in modo mirabile nel noto inno recitato da Zaccaria e che la Chiesa ripete quotidianamente, il Benedictus, inaugura una nuova vita per i due anziani genitori, mentre ogni speranza sembrava ormai svanita. Quel figlio però è frutto della parola dell’angelo e il suo nome è completamente nuovo: viene al mondo per indicare Gesù agli uomini del suo tempo.
Giovanni Battista sarà colui che preparerà la via del Signore. Così anche noi, secondo la nostra specifica vocazione, siamo chiamati a preparare le vie del Signore. 
Il suo esempio e la sua testimonianza aiutano anche noi a comprendere che siamo frutto dell’amore di Dio, nessuno di noi è nato per caso, ma per essere discepoli di Gesù, collaborando alla edificazione del suo regno di giustizia e di pace in mezzo a noi.      
Proprio in questa chiesa, in occasione delle esequie del giudice Falcone, il compianto Cardinale Pappalardo ebbe a dire: «Non possiamo subire il male, non possiamo rassegnarci a quanto così gravemente deturpa l’immagine della nostra città, della nostra isola. È necessaria una profonda salutare reazione liberatrice da ogni potere criminale o mafioso, della cui attuazione non possono essere caricati o delegati soltanto alcuni determinati ceti o persone […]. Occorre che, prima di ogni cosa, ciascuno purifichi il proprio cuore […], per sradicare e rinnegare nella nostra vita corrente tutto quell’egoismo che la domina, ed ogni smoderata bramosia di denaro, di godimento, di potenza, di dominio sugli altri».
Sono queste le parole, gonfie di dolore, che fluivano nel cuore del Cardinale Pappalardo, mai chiuse alla disperazione e allo scoraggiamento, ma aperte alla speranza di un futuro migliore.
Ed oggi, a distanza di 23 anni, cosa è cambiato nella nostra amata città di Palermo, nella nostra isola e nella nostra cara Italia?
Certo, molto si è fatto per il bene comune e per la società, e la nostra numerosa presenza oggi in questa chiesa, ne è testimonianza concreta.
Credo, tuttavia, che ancora molto rimanga da fare, a tutti i livelli: a livello politico, civile, sociale, economico, religioso e umano.
Abbiamo tutti una responsabilità comune, un impegno che sia scevro da ogni mero interesse di parte, ma aperto al bene di tutti e per tutti, nessuno escluso, secondo criteri di giustizia ed equità sociale. Tutti noi, non essendo delle isole, ma vivendo in una società articolata, abbiamo bisogno gli uni degli altri. L’uomo non è stato fatto per vivere da solo; questa autoreferenzialità lo porterebbe ad una rovinosa fine. L’uomo è stato creato, invece, per vivere felice in una comunità di fratelli, animati dal bene reciproco, nella pacifica convivenza e secondo il piano d’amore di Dio.   
Papa Francesco, nel suo recente discorso ai membri del Consiglio Superiore della Magistratura, così si esprimeva in merito alle strade da intraprendere contro la corruzione e la criminalità: «È necessario intervenire non solo nel momento repressivo, ma anche in quello educativo, rivolto in modo particolare alle nuove generazioni, offrendo un’antropologia – che non sia relativista – ed un modello di vita in grado di rispondere alle alte e profonde ispirazioni dell’animo umano. A tale scopo le Istituzioni sono chiamate a recuperare una strategia di lungo respiro, orientata alla promozione della persona umana e della pacifica convivenza».
Quello di Papa Francesco, costituisce un monito per un’azione soprattutto sul piano educativo, azione verso la quale nessuno può esimersi.
Solo se riusciremo ad educare secondo il piano di Dio, solo se riusciremo ad essere profetici con i nostri discorsi, annunciando la verità e battendoci coraggiosamente per essa, allora riusciremo a costruire una convivenza civile e religiosa migliore, aperta ed inclusiva.
L’anno della misericordia, voluto da Papa Francesco e che inizierà l’8 dicembre prossimo, ci ricorda che tutti abbiamo continuamente bisogno di fare esperienza della misericordia, di un Padre che ci abbraccia e ci ama così come siamo, con i nostri meriti e, soprattutto, con i nostri limiti. Proprio questo è ciò che siamo chiamati a rendere manifesto nel servizio alla persona che si trova nel buio della sofferenza, dell’ignoranza, della malattia, del momento di difficoltà personale o familiare, perché la nostra cara Città torni ad essere un luogo vivibile e armonico. E’ questa l’urgenza a cui ci sprona San Giovanni Battista, con la sua urgenza alla conversione, al cambiare la rotta della nostra vita per renderla sempre più aderente alla volontà di Dio.
Solo così ci sarà una società più giusta, più bella, più a misura d’uomo, perché saprà tenere conto delle necessità di ognuno, così come delle ricchezze e capacità umane di ciascuno. Allora la vita di coloro che sono morti per il bene comune non sarà persa, ma saranno le fondamenta sulle quali si posa il solido edificio di una società sana.
Così anche il Beato Giuseppe Puglisi, sacerdote della nostra città, che non si è risparmiato, fino alla fine, di cercare le forme e le vie utili per un riscatto integrale della persona, a costo della propria vita, ci ha dato un esempio concreto di come “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto” .
Ognuno di noi è chiamato a “fare” qualcosa; tuttavia, se questo “fare” non è permeato da un “essere” profondo, serve a poco, e si esaurisce in sola filantropia. Che il nostro fare sia spinto da sentimenti di vero bene, illuminati e permeati dalla forza del Vangelo, da una condotta di vita autentica e coerente…
Affidiamo, ancora al Signore, attraverso questa Eucaristia, l’anima di Giovanni Falcone e di tutti coloro che hanno amato e servito l’uomo ad ogni livello. Possa il sacrificio di questi uomini rimanere a perenne memoria per le future generazioni.
E così sia.