Solennità di San Giovanni Maria Vianney – Parrocchia del S. Curato d’Ars

Palermo, Parrocchia del S. Curato d'Ars
04-08-2009

Figlie e figli miei carissimi!

    1. Considero il mio essere qui tra voi, questa sera, in questa chiesa parrocchiale così gremita di gente, come un particolare dono che il Signore mi sta elargendo. Una di quelle consolazioni che giungono al cuore di un Pastore diocesano, che, pur in mezzo a tante difficoltà, è posto da Dio a guidare il Suo popolo pellegrino in una particolare porzione della Vigna del Signore.
    In modo speciale è per me motivo di gioia celebrare la festa del Santo Curato d’Ars in questa parrocchia a lui dedicata, nell’Anno sacerdotale che il Santo Padre Benedetto XVI ha voluto concedere a tutta la Chiesa. Un Anno che, oltre ad essere preziosa opportunità di riflessione sul sacerdozio cattolico, si rivela come portatore di una grazia particolare, dell’opportunità di vivere sempre più e sempre meglio la nostra amicizia con Cristo.
    Ringrazio così il caro don Sergio, che da tempo mi ha rivolto amabilmente l’invito a presiedere questa solenne Eucaristia, illustrandomi il percorso che la Comunità parrocchiale avrebbe vissuto nella Novena, e che lui stesso ha voluto ricordare nelle parole che hanno introdotto questa celebrazione.
    Ringrazio anche i confratelli che si sono avvicendati nelle celebrazioni e nelle catechesi, molti dei quali presenti stasera. Tanti di loro si sono succeduti nella direzione pastorale di questa comunità parrocchiale, e con il loro ministero hanno esercitato un significativo ‘ e spesso determinante ‘ ruolo nel definire il volto di questa parrocchia. Ognuno di loro ha dato il suo meglio, ognuno di loro si è impegnato con zelo e dedizione. Ed è bello che insieme si ritrovino in preghiera: è il miglior modo per vivere il dies natalis del Curato d’Ars, che nel 2010 verrà proclamato solennemente dal Papa ‘patrono dei sacerdoti’.

    2. La vita di San Giovanni Maria Vianney rivela eccelsi tratti di santità. Fu un grande sacerdote perché si rese totalmente disponibile al Signore; si è lasciato in ogni momento condurre dalla mano paterna di Dio che lo ha guidato attraverso le traversie della vita perché lo aveva scelto, lo aveva voluto suo ministro, ministro della grazia. Un umile strumento, umanamente non eccelso agli occhi degli uomini, ma proprio per questo uno strumento nel quale Dio ha mostrato la sua potenza, ha reso palpabile quello che la Vergine Maria proclama nel Magnificat: Dio sceglie strumenti, spesso non eccelsi agli occhi degli uomini, ma che, proprio per questo, manifestano che è il Signore a condurre la storia della salvezza. Nel Curato d’Ars si rivela attuale quella parola di Paolo che mi piace più volte sottolineare, vera e provata sia per i sacerdoti che per i fedeli laici: portiamo il tesoro della grandezza di Dio in vasi di creta, vasi fragili della nostra umanità che servono ancora meglio a far trasparire unicamente la grandezza del Signore e l’azione salvifica di Dio (cf. 2Cor 4,7).
    Conosciamo infatti quanto il Curato d’Ars fosse debole, intellettualmente e fisicamente. Davvero pochi avrebbero scommesso su di lui, sulle sue capacità o sulla sua preparazione. Il suo stesso cammino di formazione verso il sacerdozio fu costellato da varie e serie difficoltà.
    È proprio questa la grandezza del Curato: egli per primo non scommise mai su se stesso. Piuttosto visse in riferimento costante al suo Signore. Si fece trasparenza di Dio perché ogni suo tratto diventasse presenza di Dio in mezzo agli uomini.

    3. Tutto di lui veniva fuori dallo stesso sguardo di compassione di Gesù nei confronti delle folle. Quello stesso sguardo di cui abbiamo ascoltato nel Vangelo or ora proclamato. Uno sguardo che ci dimostra un’attenta sensibilità alla sofferenza, al dolore, alla povertà degli uomini. Uno sguardo che rivela soprattutto l’amore misericordioso di Cristo per l’umanità smarrita di tutti i tempi e di tutti i luoghi: Guardando le folle ne ebbe compassione perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore (Mt 9,36).
    Stanche e sfinite sono le folle. Stanco e sfinito è l’uomo che non trova riferimenti nella sua vita. Vaga incessantemente alla ricerca, e spesso giunge a mete che illudono, ingannano, elegge guide che lo portano fuori strada, lontano dalla vera felicità e dalla pace.
    Basta guardarsi attorno, ripensare davanti al Signore la nostra storia e leggere con i suoi occhi la vita delle persone che ci stanno vicino, di quelli che vivono nello stesso quartiere, di quanti si illudono, ingannano, si lasciano attrarre da vie che non portano a quella felicità e a quella pace che sono un desiderio ed un bisogno profondo del cuore di ciascun uomo.
    Gesù sapeva bene questo. E con gli occhi di Cristo, anche il Curato d’Ars ha capito questo. E quel paesino dove di amor di Dio ce n’era ‘veramente poco’ ‘ così gli diceva il suo Vescovo quando lo inviava ad Ars, piccola e sconosciuta borgata della diocesi di Lione ‘ cominciò ad essere per lui oggetto di una compassione misericordiosa tutta particolare, di un’attenzione e di una cura senza precedenti: la stessa cura di Dio nei confronti degli uomini.
    ‘Il sacerdozio è l’amore del Cuore di Gesù’. Una frase lapidaria di San Giovanni Maria Vianney, che dice quanto egli sperimentò nella sua vita. Nell’umanità del sacerdote, pur fragile e segnata dal limite della debolezza originaria, si incarna questa compassione di Dio che freme nell’intimo e si commuove per l’uomo, e lo accompagna con amore di Pa-dre, nel cammino della rinascita e della conversione.
    Abbiamo concluso da poco più di un mese l’Anno Paolino, ma ri-mane gigante agli occhi di tutti noi la figura di San Paolo e della sua esperienza di ‘conquistato da Cristo’. Riecheggia così per ciascun cristiano e continua ad interpellarci nel profondo del cuore la sua forte testimonianza: Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me (cf. Gal 2,20).
    Il Curato d’Ars, ha sentito vivere il Cristo in lui, con quella stessa compassione per le folle, con l’avvertimento della loro stanchezza. La sua disponibilità al disegno di Dio ha consentito che fosse lo stesso Gesù a rivolgere per mezzo suo le stesse parole che rivolgeva ai suoi: Venite a me voi tutti che siete affaticati, ed io vi ristorerò (Mt 11,28).
    Ed ecco l’accompagnamento del popolo di Dio, l’esortazione tenace alla riconciliazione nel confessionale sempre frequentato, il vivere gioioso e intenso del mistero eucaristico come nutrimento che sostiene nel cammino, l’invito a scoprire l’amore di Dio per ogni uomo, il dono della sua vita per l’umanità. La sua vita e la sua testimonianza cristiana si è fatta luce per gli altri. Un po’ come dovrebbe essere per ciascuno di noi, nella missione che Dio, a vario titolo, ci ha affidato.

    4. Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele (Ez 3,16). Abbiamo ascoltato nella prima lettura le parole che il Signore rivolge al profeta Ezechiele. Il Curato d’Ars venne posto da Dio come sentinella della sua comunità, per indicare la strada della vita e della gioia, e per far desistere dal male e dal peccato. Egli avvertì sempre questa grande responsabilità: quella di essere pastore di una porzione del gregge di Dio, che era la comunità affidata alle sue cure, da guidare con la ferma direzione della Parola di Dio, annunciata con appassionata convinzione, con zelo pastorale e con autentico ardore apostolico.
    Non possiamo non rendere la figura del Curato esemplare per tutto il popolo santo di Dio. Se è certo che questa missione di essere sentinelle è confidata in maniera eminente ai ministri ordinati, per annunziare la Parola di Dio, per indicare quei pericoli che come trappole insidiano il nostro cammino di cristiani, è anche vero che in virtù del sacerdozio regale, a tutti i battezzati è confidata la missione di essere sentinelle, di essere testimoni, di annunziare con coraggio e decisione, alla luce della parola di Dio, i pericoli che incombono sul cammino dell’uomo.
    Non posso ‘ in particolare ‘ non pensare a voi giovani, così numerosi in questa assemblea orante, i cui volti guardo con fiducia. A voi giovani Giovanni Paolo II ha affidato il compito di essere le sentinelle di que-sto nuovo millennio, di questa nuova alba dell’umanità, che si dischiude pregna di speranza ma nella quale non mancano nubi all’orizzonte, certamente non foriere di pace.
    Proprio a voi ha detto, nella Giornata Mondiale della Gioventù del 2000, a Tor Vergata: Vedo in voi le sentinelle del mattino! Quelle sentinelle che sanno riconoscere la gloria di Dio, che si stupiscono nel contemplare l’irrompere della luce che viene a disintegrare le tenebre. Siate le sentinelle! Voi giovani, che a volte siete le prime vittime di un mondo che non trova nei valori evangelici la sua ispirazione, voi dovete essere queste sentinelle, questi testimoni, questi annunziatori, che con la vostra vita e con la vostra voce dovete farvi eco di quella Parola che si è fatta carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi.

    5. Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! (1Cor 9,16). Su questa esigenza abbiamo riflettuto nel Convegno Diocesano del 2008, ispirando l’azione pastorale promossa nell’anno 2008/2009. E ancora lo stesso Paolo ci dice: mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro (1 Cor 22b-23). E questo sarà il tema del Convegno pastorale dell’ottobre prossimo.
    Sembra di vedere il Curato d’Ars come ‘divorato’ da queste parole di Paolo che abbiamo ascoltato, e che dovrebbero da una parte definire il ministero di qualsiasi sacerdote, al punto da essere come visibilizzate agli occhi della gente, e dall’altra essere condivise e vissute da tutti i cristiani, che con la loro vita sono chiamati ad essere annunziatori della buona novella.
    Tutto io faccio per il Vangelo. Il Curato d’Ars aveva capito che quel ‘tutto’ obbligava al sacrificio pieno, alla profonda dedizione, all’espiazione e alla preghiera intensa. Come pure a porre qualsiasi occasione o mezzo per parlare di Dio alla gente, per testimoniarlo con le parole e le opere. Non potevano esserci pause, o soste senza motivazioni valide.
    Lo testimoniò nel suo servizio al confessionale, instancabile e pieno di grande responsabilità. Lo rese evidente nel suo apostolato, specie con le fasce più povere della gente.
    La sua piccola comunità, senza dubbio di non grandi gratificazioni, si costituiva di anime a cui dedicarsi totalmente. Egli accettò la sfida che essa rappresentava. E la vinse insieme a Cristo che in lui si incarnava come Pastore. Ripresentò Cristo nella semplicità di quanto la gente, specie quella umile e povera, poteva comprendere: i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Fu sacerdote grande perché testimone di amore in questi sacramenti.
    L’esempio, e certamente oggi lo vorrei ricordare, è in primo luogo per tutti noi presbiteri ordinati. Abbiamo la certezza che Dio ordinariamente vuole raggiungere uomini e donne di una comunità attraverso l’azione insostituibile e preziosa del presbitero. La conversione di tanta gente è un dono di grazia di Dio ma passa dalla dedizione apostolica del sacerdote, dal suo ministero. Il Curato d’Ars ‘ abbiamo pregato con l’orazione colletta ‘ è stato un mirabile pastore pienamente consacrato al servizio del popolo. Come tale diviene esempio significativo per tutti noi.
    Allora il Curato d’Ars costituì una vera e propria sfida evangelica per il suo tempo, attraversato dalla contraddizioni della rivoluzione francese e dalle forti correnti illuministiche. Oggi la testimonianza di santità sacerdotale può scuotere anche questo nostro tempo caratterizzato dalla scri-stianizzazione e dalla secolarizzazione. Noi sacerdoti abbiamo la grande responsabilità e l’esigente dovere di essere i primi a rendere visibile Cristo anche in questo tempo: la sete della gente non è mai cambiata’ e solo Cri-sto può appagare il desiderio profondo di vita e di amore insito nel cuore dell’uomo.

    6. Il Curato si spese totalmente, mosso dallo zelo di far penetrare il vangelo della salvezza fra tutti. Non esitò a donarsi nella vita penitenziale ed ascetica. Non cadde mai in un semplicistico attivismo. Sempre si riferì alla preghiera. Comprese che l’identità del santo ‘ in qualsiasi stato di vita sia chiamato ‘ si definisce primariamente in relazione a Dio, e che la preghiera è la cura costante di questa relazione intima che egli non mancò di indicare come vera e propria ‘fusione’ con Dio: ‘La preghiera nient’altro è che l’unione con Dio. Quando qualcuno ha il cuore puro e unito a Dio, è preso da una certa soavità e dolcezza che inebria, è purificato da una luce che si diffonde attorno a lui misteriosamente. In questa unione intima, Dio e l’anima sono come due pezzi di cera fusi insieme, che nessuno può più separare’ (dal suo ‘Catechismo’). Queste le parole del Santo Curato d’Ars.
Q    uale pregnante insegnamento ci viene, non da complicate geometrie pastorali, né da strategie accattivanti, ma da una dedizione completa ad una vita costantemente condotta alla presenza del Signore ed ispirata alla Sua Parola. Una fusione continua, assidua, silenziosa. L’azione di Dio, nel Curato d’Ars, cominciava dalla sua preghiera.
    L’esempio diviene per noi un confronto significativo: con cosa comincia la nostra azione apostolica, fosse anche la più semplice? La nostra preghiera è il momento in cui davvero ci fondiamo con Dio? Fino al punto da sentirne la presenza e da incarnarne poi la sollecitudine nei fratelli? Quanto sostiamo davanti al SS. Sacramento? Il Tabernacolo è il nostro punto di riferimento? La sorgente di ogni nostra azione?

    7. La messe è molta‘ La compassione di Gesù si estende ai biso-gni di tutti i tempi, e abbraccia ogni situazione. Per questo Dio non cessa di pensare alla continuazione della Sua opera di salvezza, confidata, per un di-segno imperscrutabile della Provvidenza, agli operai che chiama a prender-si cura della Sua Vigna.
    Mi viene in mente la grande fatica che il Curato d’Ars incontrò nel portare avanti il suo percorso formativo in vista del sacerdozio ‘ venne addirittura dimesso dal Seminario di Lione! ‘ , e la generosa e responsabile risposta alla chiara volontà di Dio che in tutto questo si rese manifesta.
    In questo contesto non posso non pensare di chiedere insieme a voi, questa sera, al Curato d’Ars, di farsi interprete presso il Signore della supplica per il dono di tante e sante vocazioni al sacerdozio, per la nostra amata Chiesa di Palermo e per la Chiesa universale. Ne abbiamo bisogno. È vero! La messe è molta. Ma non è soltanto per questo che insisto dinanzi a Dio e chiedo l’intercessione al Curato. Non è soltanto un problema di funzioni, per la garanzia di un servizio religioso alla gente, piuttosto della ne-cessità di autentici testimoni di santità, come lo deve essere chi, interpellato da Dio, ha lasciato ogni cosa per seguire il Signore da vicino e per ciò stes-so vivere in intima comunione con Lui.
    Il popolo santo di Dio vive momenti difficili, di battaglie continue nell’intimo del cuore di ciascuno dei fedeli e nell’insieme della comunità. Abbiamo bisogno di moltiplicare le braccia levate al cielo che, come quelle di Mosè, possano aiutare uomini e donne a vincere, ad essere vittoriosi nella buona e santa battaglia, quella battaglia che ci permette di vivere come nuova generazione, come nuove creature, nella luce della gioia e nella forza della grazia che scaturisce dalla croce gloriosa della resurrezione.
    Per questo, seguire Cristo sulla via del sacerdozio è grande, è bello, entusiasmante! È ragione di vita autentica. È un modo alto di spendere la vita, senza ‘se’ e senza ‘ma’. Val la pena interrogarsi sul piano che Dio ha su ciascuno di noi per spendere la propria vita sui sentieri da lui tracciati.
    Questo anno in cui celebriamo i 150 anni del dies natalis del Cura-to d’Ars, è un anno di grazia, così come ci ha indicato il Santo Padre nell’aprire quel tesoro inesauribile costituito dai meriti infiniti di Cristo, della Beata Vergine, dei santi, con le indulgenze concesse al popolo di Dio (cf. Enchiridion indulgentiarum), ma adoperiamoci con creatività ed entusiasmo affinché sia anche un anno di vocazioni.
    Voi giovani non abbiate paura! Giovanni Paolo II ve lo ha detto accoratamente quel 22 ottobre 1978, e la sua voce rimbomba ancora dalla Piazza di San Pietro come un’eco che nel tempo, invece di affievolirsi e spegnersi, sembra essere ogni giorno più nitida e accattivante: Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Cristo non deluderà le vostre attese e le vostre aspirazioni se vi lasciate possedere da Lui.
    Lasciamoci sedurre dalla chiamata alla santità come ci ha insegnato il Maestro: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,48). Giovanni Maria Vianney sperimentò con sovrabbondanza di grazia i doni di Dio che lo aveva chiamato a seguirlo più da vicino per farlo strumento di riconciliazione, di pace e di gioia per una moltitudine immensa di anime, non soltanto negli anni della sua giornata terrena. Attraverso il tempo egli continua dal cielo ad essere mediatore presso Dio e intercessore presso il trono dell’Altissimo perché questa grazia operi la conversione del nostro cuore e ci aiuti a proclamare la grandezza del Signore.
    E così sia.