Centocinquantesimo della Morte del Servo di Dio il Principe Francesco Paolo Gravina di Palagonia

Cattedrale di Palermo
15-04-2004

CENTOCINQUANTESIMO DELLA MORTE DEL SERVO DI DIO
IL PRINCIPE FRANCESCO PAOLO GRAVINA DI PALAGONIA
OMELIA DEL CARDINALE ARCIVESCOVO
CATTEDRALE, 15 APRILE 2004

Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo. Alleluia.

1. Nella pienezza della gioia pasquale, in questa celebrazione eucaristica, memoriale della morte e della risurrezione del Signore, facciamo la memoria della morte del Servo di Dio Francesco Paolo Gravina, avvenuta 150 anni fa come oggi, nella legittima attesa della sua glorificazione.
Lasciando alla massima Autorità della Chiesa il giudizio finale sulla sua santità, credo che dalla sua vicenda terrena, orientata decisamente verso la vita vera, la vita senza fine, giunga a tutta Palermo un forte segnale di speranza, di quella speranza che non delude e che nella Risurrezione del Signore ha il suo fondamento sicuro, come abbiamo ascoltato nelle due letture bibliche.
Nella preghiera colletta abbiamo chiesto al Signore la grazia che, animati dall’unica fede, esprimiamo nelle opere l’unico amore. In questa prospettiva ci piace leggere la complessa vita del Servo di Dio, vero testimone della fede e grande gigante della carità.

2. E’ la fede nel Cristo Risorto la radice di ogni opera di bene che noi possiamo compiere nel mondo.
È la lezione che S. Pietro ci ha dato nella prima lettura. Come abbiamo ascoltato ieri, Pietro e Giovanni si recano al tempio per la preghiera verso le tre di pomeriggio. Qui, di solito veniva portato un uomo, storpio sin dalla nascita, e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio, detta la Bella, a chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domanda loro l’elemosina. Allora Pietro fissa lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e gli dice: ‘Guarda verso di noi’. Ed egli si volge verso di loro aspettandosi di ricevere qualche cosa.
Ma riceve qualcosa di molto più grande: ottiene la guarigione. Pietro infatti gli dice: ‘Non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina’. E presolo per la mano destra, lo solleva e di colpo egli balza in piedi saltando e lodando il Signore fra lo stupore e la meraviglia dei parenti.
Tutti accorrono verso gli Apostoli al portico di Salomone. E Pietro parla, parla con coraggio: precisa anzitutto che quanto è accaduto non è opera delle loro capacità, ma del nome di Gesù, di quel Gesù che essi hanno rinnegato di fronte a Pilato, posposto all’assassinio Barabba e fatto crocifiggere, ma che Dio ha risuscitato dai morti.
‘Proprio per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; la fede in lui ha dato la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi’Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l’ha mandato prima di tutto a voi per portarvi la benedizione e perché ciascuno si converta dalle sue iniquità’.

3. Se si volesse andare alla radice di tutto il bene che il Servo di Dio ha compiuto nella nostra Città, dovremmo ricercarla nella sua fede in Cristo, mai venuta meno, neppure nei momenti più difficili della sua vita. E restare saldi nella fede, oggi purtroppo appannata, sfidata, corrosa, minacciata dal secolarismo consumista ed edonista, permissivo e libertario, che mette tra parentesi Dio e illude l’uomo a vivere come se Dio non esistesse e a costruire la felicità senza Dio, se non contro Dio, è il primo e fondamentale compito di ogni cristiano.

4. ‘O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra’, abbiamo ripetuto nel salmo responsoriale, riaffermando la nostra fede in Dio che ha creato l’uomo, si ricorda di lui, si prende cura di lui, perché lo ha fatto poco meno degli angeli e l’ha coronato di gloria e di onore. E’ la visione stupenda dell’antropologia cristiana, che non ha riscontro nelle culture dominanti.
Oggi occorre non solo conservare ma anche irrobustire la nostra fede in Dio, uno e trino, superando ogni dubbio che può sorgere nel cuore in un contesto di crescente scristianizzazione, con il ricorso più frequente alla Parola di Dio, con la frequenza alla catechesi permanente, con la preghiera e la partecipazione più attiva alla Messa domenicale.
L’interrogativo rivolto da Gesù agli apostoli i quali, quando la sera di Pasqua apparve in persona in mezzo a loro, stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma, è rivolto anche a noi nei momenti oscuri della nostra fede: ‘Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?’

5. Il Servo di Dio visse momenti difficili e oscuri: ma non vacillò mai la sua fede, che germinò nelle più grandi opere di carità.
La fede, infatti, è il segreto di quella ‘fantasia della carità’ che lo animò e lo spinse alle più ardite imprese e iniziative a favore dei poveri, dei disoccupati, degli appestati, degli orfani, degli abbandonati, così come è stato e sarà documentato egregiamente in questi giorni e come ancora ne dà testimonianza la Congregazione religiosa da lui fondata, le Suore di Carità del Principe di Palagonia.
La peculiarità del suo straordinario amore verso i poveri sta nel fatto che egli non solo si è prodigato per loro lasciando tutti i suoi beni, ma ha donato se stesso ai poveri, facendosi povero con loro, lui, il ricchissimo Principe di Palagonia, condividendo la loro condizione che al suo tempo era ancora più triste e umiliante di quella attuale.
Il Signore Risorto si è servito di lui per far trionfare il suo amore nella nostra Città in uno dei momenti più difficili della sua storia nel segno della speranza. Soprattutto dopo la prova della tristissima esperienza coniugale, affrontata con dignità e nel rispetto del sacramento del matrimonio alla cui fedeltà non è venuto mai meno nonostante l’infedeltà della moglie, il Signore lo ha chiamato ad operare prodigi di carità non molto dissimili da quelli compiuti agli inizi della Chiesa, come abbiamo ascoltato nella prima lettura.

6. Il Servo di Dio, che a differenza di Pietro e Giovanni, aveva oro e argento, lo ha dato per sollevare dalla miseria materiale tanti palermitani del suo tempo.
Ma nel nome di Gesù si è prodigato anche e soprattutto per sollevare dalla miseria morale e spirituale, molto più grave di quella materiale. Lo ha fatto con l’esempio della sua vita e col coraggio dell’annunzio del Vangelo, il solo messaggio divino che illumina le coscienze, le libera dal peccato, le scuote dal torpore e le solleva verso gli alti orizzonti degli autentici valori umani, come sono quelli cristiani della condivisione, della solidarietà, dell’amore concreto e operoso, che rendono gioiosa la vita umana e serena la convivenza sociale.
Di questi valori la nostra Città, come tutta l’umanità, oggi ha più bisogno che mai. Il Servo di Dio, che è stato anche uno dei suoi sindaci migliori, ottenga dal Signore Risorto per noi palermitani la grazia di seguirlo nella via di questi valori, in modo che col nostro personale rinnovamento spirituale e morale sia reso possibile il rinnovamento sociale, da tutti atteso e auspicato.