1. Ho accolto ben volentieri l’invito rivoltomi a presiedere la concelebrazione eucaristica nel 925° anniversario della nascita di S. Berardo in questa bellissima Concattedrale, nella quale riposano le sue poglie mortali: e per diverse ragioni.
Anzitutto per il legame sacramentale che mi unisce a S. Berardo come Vescovo e come Cardinale: sono venuto quasi in pellegrinaggio per onorarlo e per chiedergli di poter imitare l’esempio fulgidissimo della sua carità pastorale a servizio della Chiesa Cattolica e della Chiesa di Palermo della quale vi porto il saluto.
A questo legame col vostro Santo Compatrone Protettore si aggiunge anche quello, anch’esso sacramentale, col vostro Vescovo, S.E. Mons. Lucio Renna, a voi e a me carissimo, non solo perché ambedue siamo figli della medesima Chiesa di Lecce, ma anche per la altissima stima e ammirazione che nutro per lui e per il suo non facile compito pastorale come successore di S. Berardo.
Ma c’è un altro motivo che lega la Chiesa Palermitana a S. Berardo: il legame di parentela tra S . Berardo e S. Rosalia, protettrice di Palermo, che era figlia del conte Sinibaldo, nipote del vostro Santo.
2. La vita di S. Berardo è a tutti voi ben nota. Vi accenno soltanto, per richiamarne i tratti essenziali.
Nato nel castello di Colli, qui, presso Pescina nel 1079 dai grandi conti dei Marsi, da fanciullo dimorò presso i canonici della Chiesa di S. Sabina, allora Cattedrale di Marsi, e ricevette dal Vescovo Pandolfo gli ordini (allora detti minori) fino all’accolitato.
A diciassette anni passò a Montecassino, ove rimase sei anni, a completare la sua formazione umana e cristiana. Questa fu tanto eccellente che dal Papa Pasquale II, il giovane Berardo fu chiamato a Roma, ordinato suddiacono e inviato nella Provincia della ‘Campagna’ quale delegato pontificio. Richiamato a Roma perché minacciato di morte, fu ordinato diacono cardinale di S. Angelo in Peschiera, poi presbitero cardinale dal titolo di S. Crisogono e infine Vescovo della Chiesa di Marsi che resse fino alla morte avvenuta il 3 novembre 1130, da tutti salutata come la morte di un santo e suggellata da non pochi prodigi.
3. Una vita, come si vede, alquanto breve, ma ricca di meriti, esemplare per noi pastori e per voi, gregge di Cristo buon Pastore.
S. Berardo è stato una vera icona sacramentale di Cristo buon pastore, verso il quale le letture di questa celebrazione invita a volgere lo sguardo della contemplazione sia noi Vescovi e sacerdoti, chiamati a rappresentarlo in mezzo a voi, sia voi fedeli, chiamati a riconoscerlo presente in noi pastori nonostante i nostri limiti e le nostre debolezze umane.
Nel Vangelo Gesù ci ha dato la definizione più espressiva e affascinante di se stesso: ‘Io sono il buon pastore’.
In questa immagine allegorica, tanto cara alla iconografia cristiana, fortemente evocativa, soprattutto in un contesto agricolo-pastorizio come il vostro, è espressa l’identità di Gesù, nel suo rapporto con la Chiesa e con l’umanità.
Nella civiltà agricola orientale il ruolo del pastore era considerato di primaria importanza, come quello del proprietario e del padrone. Per questo, anche nel mondo extrabiblico, veniva chiamato pastore il re, il signore di una Città, un condottiero.
4. Non c’è allora da meravigliarsi se l’appellativo di pastore sia stato attribuito nell’Antico Testamento, in modo eminente, a Dio. Anzi solo lui veniva considerato il vero pastore di Israele e di ogni israelita.
Basti per tutte la stupenda testimonianza del Salmista offertaci dal salmo responsoriale.
Un’affermazione convinta, come un atto di fede: ‘Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla’.
Un’esaltazione commossa della sua cura sempre provvida ed efficace: ‘Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino per amore del suo nome’.
Un abbandono totale fiducioso nella sua rassicurante presenza soprattutto nell’ora della prova e del dubbio: ‘Se dovessi camminare in una valle oscura non temerei alcun male perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza’.
Un salmo da non dimenticare: in esso palpita la speranza del gregge e rifulge la donazione del pastore. Potrebbe essere l’inno più appropriato a uno dei pastori più stupendi, S. Berardo. In certo qual modo, è la sua fotografia di pastore, riflesso di quella che Gesù stesso ha tracciato di sé nel Vangelo, a compimento della promessa fatta da Dio nell’Antico Testamento per bocca del profeta Ezechiele, come abbiamo ascoltato nella prima lettura.
5. È Gesù l’unico vero e buon Pastore, che raduna le pecore disperse, le conduce in ottime pasture, le chiama per nome, le guida con la parola, le precede con l’esempio, va in cerca di quella perduta per ricondurla all’ovile, fascia la ferita e cura quella malata, si prende cura di quella grassa e della forte e tutte pasce con giustizia dando la vita per tutte.
È quello che ha fatto S. Berardo, nella triplice e indissociabile missione pastorale di maestro, di sacerdote, di guida del suo popolo, memore d’essere stato posto come vescovo a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistato col suo sangue, come S. Paolo ricordava agli anziani di Efeso.
6. Il Vescovo è anzitutto Maestro della fede e araldo della Parola. Egli per primo l’ascolta costantemente in sé per annunziarla autorevolmente ai fedeli che sono tenuti ad accoglierla con religioso ossequio, venerando nei Vescovi i testimoni della divina e cattolica Verità. S. Berardo fu instancabile e coraggioso in questa prioritaria e fondamentale missione del Vescovo.
Si legge nella sua biografia: ‘Era tanto zelante nell’opera della predicazione che non ci fu uomo né donna nel suo vescovado, sia nobile che plebeo, sia ricco che povero, che non lo venerasse, sia per l’esempio del suo buono operare sia per la dolcezza della predicazione e dell’ammonizione’. Non si lasciava blandire dalle promesse, né intimidire dalle minacce, come non si lasciò intimidire quando era delegato pontificio della Campagna e dal conte Pietro Colonna fu catturato e gettato, come Geremia, in una cisterna senz’acqua.
Tante furono le persecuzioni di cui fu oggetto, da essere costretto più volte a lasciare la diocesi per evitare la morte. Sentiva fortissimo il dovere di vegliare sul gregge, perché non fosse turbato dalle dottrine perverse dei lupi rapaci, i falsi maestri della menzogna e dell’errore, come S. Paolo ha raccomandato agli anziani di Efeso.
7. Il Vescovo è soprattutto ministro della grazia del supremo sacerdozio, esercitando il ministero della santificazione con la preghiera personale e liturgica, con la celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti, e con la sapiente moderazione del culto divino.
Egli è l’orante e il maestro della preghiera, che intercede per i suoi fratelli e con lo stesso popolo implora e ringrazia il Signore, mettendo in evidenza il primato di Dio e della sua gloria sugli effimeri e passeggeri interessi terreni.
Anche in questo S. Berardo fu un Vescovo eccezionale. Uomo di contemplazione e di preghiera, fu il grande sacerdote del suo popolo. ‘Insisteva talmente nella preghiera ‘ si legge nella sua biografia ‘ che non ci fu tempo, non ci fu ora, non ci fu giorno in cui non anteponesse alcuna cosa all’ufficio divino e diceva che era maledetto chi faceva negligentemente quest’opera di Dio’.
8. Maestro della fede e santificatore del suo popolo, il Vescovo e anche la guida del gregge che gli è affidato e al quale indica la via che conduce al Padre, con l’esempio e con la parola, con l’autorità e con la carità pastorale, ossia l’amore di Cristo buon Pastore, ricevuti nell’Ordinazione.
Soprattutto in questo S. Berardo fu un pastore insigne, tanto più degno di ammirazione quanto più disastrosa era la situazione della diocesi al suo arrivo, a causa dell’adesione del predecessore all’antipapa.
Con l’autorità e l’amore di Cristo buon Pastore combatté decisamente ed efficacemente quanto nel clero e nel suo popolo non era conforme al Vangelo e alle leggi della Chiesa, come la simonia, il concubinato, la bestemmia, l’avarizia, la lussuria, le liti, le discordie, le ingiustizie.
Fu prudente ma irremovibile nel ristabilire la disciplina ecclesiastica, allora gravemente violata, e instancabile nella riforma del Clero.
Fu un grande padre dei poveri, per provvedere ai quali era capace di spogliarsi di tutto e di far qualsiasi sacrificio.
Si oppose con tenacia ai prepotenti, smascherandone le trame occulte.
Promosse con ogni sforzo nella Chiesa, nella famiglia e nella società, la concordia e l’unità, fondate sulla carità, sull’amore vicendevole, che Gesù ha lasciato come tessera di riconoscimento del cristiano.
Queste le parole dette prima di morire: ‘Poiché la pienezza della legge è l’amore, conservate l’amore vicendevole che è senza simulazione; se, Dio ce ne guardi, tra di voi sorge una discordia, sia composta entro la fine del giorno, affinché, facendo di una pagliuzza una trave, le anime non ne muoiano. Se rimarrete nell’amore che è senza simulazione, otterrete senza dubbio il frutto all’amore che è la vita eterna’.
9. Carissimi fratelli e sorelle, credo che questo messaggio, vero testamento di carità pastorale, giunge a tutti noi come il dono più significativo e stimolante della festa solenne che tutta la Chiesa di Avezzano e in particolare la comunità di Pescina celebra in suo onore.
Cresca l’amore di Cristo anzitutto nelle famiglie, le quali oggi, nelle grandi città, sono in crisi proprio per la mancanza di amore, che genera dissidi tra marito e maglie, incomprensioni tra genitori e figli, infedeltà coniugali, separazioni, divorzi, fenomeni dolorosi dei quali le prime vittime sono soprattutto i figli. S. Berardo ha tanto sofferto e lottato anche per questo.
Cresca l’amore nella Chiesa, come sacramento dell’amore di Cristo, nella comunione affettiva ed effettiva dei fedeli col Papa, col proprio Vescovo, con i sacerdoti e tra di loro, a somiglianza della prima comunità cristiana, che era attraente proprio perché salda nella carità e nella comunione, per la quale tanto si è prodigato il nostro Santo, in un tempo in cui anche nella Chiesa c’erano conflitti e divisioni e divampava la lotta per le investiture.
Cresca l’amore nella società che sembra frantumarsi nelle divisioni, nelle polarizzazioni, nei contrasti, nelle ingiustizie, nelle contrapposizioni sociali, politiche ed economiche, compromettendo la serenità della convivenza umana, già tanto minacciata a livello planetario dalle guerre e dai terrorismi senza fine.
Accogliere questo messaggio è l’attestato più vero e concreto della devozione al grande Santo, gloria della terra dei Marsi, sulla quale imploro la sua intercessione e la sua continua protezione, perché conservi la fede dei padri e quei grandi valori umani e cristiani che hanno costituito e costituiscono la sua ricchezza più preziosa e intramontabile per un migliore futuro della Chiesa e della società. È questo il mio augurio che affido alla Vergine Santissima delle Grazie per il cui onore la vostra Concattedrale è dedicata a Dio, al quale solo va la gloria e la lode nei secoli. Amen.