Giovedì Santo – Messa in Coena Domini

Cattedrale di Palermo
08-04-2004

1. Questa mattina con la Messa Crismale si è concluso il tempo quaresimale. Ora, con la celebrazione eucaristica della Cena del Signore, diamo inizio al Triduo Pasquale del Cristo morto, sepolto e risorto.
In questo Cenacolo della nostra Chiesa, che è la Cattedrale, ricordiamo e riviviamo quanto Gesù fece nell’ultima cena: l’istituzione dell’Eucaristia, del sacerdozio ministeriale e del comandamento nuovo dell’amore vicendevole. Sono questi i grandi doni del Giovedì Santo, sgorgati dal cuore di Gesù come espressione del suo amore senza fine per noi.
Ma quest’anno, che per la nostra Chiesa palermitana è un anno eminentemente eucaristico, il Signore c’invita a celebrare l’Eucaristia del Giovedì Santo con maggiore intensità di fede, per cogliere sempre più consapevolmente la grandezza del dono eucaristico, che è il dono per eccellenza. È il dono che Gesù ci ha fatto di se stesso, della sua persona divina nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza.

2. È vero che la Chiesa è venuta alla luce e si è incamminata per le strade del mondo il giorno di Pentecoste col dono dello Spirito Santo. Ma un momento decisivo della sua formazione è certamente l’istituzione dell’Eucaristia nel Cenacolo. Il fondamento e la scaturigine della Chiesa è l’intero Triduo pasquale, ma questo è come raccolto, anticipato e concentrato per sempre dal dono eucaristico. In questo dono Gesù ha consegnato alla Chiesa l’attualizzazione perenne del mistero pasquale, del mistero della sua morte, risurrezione e ascensione al cielo (cf. EdE). E ciò non può non destare in noi sentimenti di grande stupore e viva gratitudine, soprattutto quando acclamiamo in ogni celebrazione eucaristica ‘Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta’.

3. L’Eucaristia è il memoriale, ossia il ricordo e la ripresentazione sacramentale della Pasqua del Signore, così come lo era la pasqua ebraica descritta nella prima lettura tratta dal libro dell’Esodo.
Ed è significativo che Gesù abbia voluto istituire l’Eucaristia proprio in occasione della Cena pasquale, come ci ha ricordato S. Paolo nella seconda lettura.
Nella pasqua ebraica la salvezza venne dal Signore nel segno del sangue dell’agnello che risparmiò gli ebrei dallo sterminio dei primogeniti. Essi si nutrirono delle sue carni prima di iniziare la marcia verso la terra promessa dopo il passaggio attraverso le acque del Mar Rosso. Ma tutto questo prefigurava la nuova Pasqua, la Pasqua cristiana, nella quale l’agnello perfetto immolato e consumato per la salvezza del mondo è Gesù stesso.

4. L’Eucaristia, infatti, è contestualmente e inseparabilmente sacrificio e convito.
Gesù, istituendo l’Eucaristia, memoriale della sua Pasqua, ha voluto lasciarci il mezzo per partecipare all’unico e irripetibile sacrificio della Croce che avvenne il giorno dopo sul Golgota.
Non si limitò, infatti, a dire ‘Questo è il mio corpo ‘ Questo è il mio sangue’, ma aggiunse: ‘dato per voi ‘ versato per voi’.
Non affermò soltanto che ciò che dava loro da mangiare e da bere era il suo Corpo e il suo Sangue, ma ne espresse altresì il valore sacrificale, rendendo presente in modo sacramentale l’unico sacrificio che egli avrebbe compiuto sulla Croce alcune ore dopo per la salvezza di tutti. Sono chiare le sue parole: ‘Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finchè egli venga” ‘Fate questo in memoria di me’.
Viene spontanea la domanda: ‘Che cosa Gesù poteva fare di più per noi? Davvero nell’Eucaristia ci mostra un amore che va fino all’estremo, un amore che non conosce misura’.

5. Perché sacrificio, l’Eucaristia è anche convito, un vero banchetto. È il banchetto pasquale nel quale Gesù, morto e risorto, si siede a tavola con noi, e nei segni del pane e del vino ci dona in nutrimento il suo corpo immolato e il suo sangue versato sulla croce, anticipazione del convito eterno, pegno della gloria futura. Per questo, attraverso la voce del sacerdote che presiede la celebrazione di tutta l’assemblea, Gesù ci dice: ‘Prendete e mangiate’Bevetene tutti’.
È un invito, anzi un comando che dobbiamo accogliere. Non potremmo conservare la vita divina ricevuta col Battesimo e crescere in essa senza questo nutrimento divino. Lo ha precisato chiaramente Gesù nel discorso a Cafarnao: ‘Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita’ (Gv 6,53).
D’altra parte, l’efficacia salvifica del sacrificio eucaristico si realizza in pienezza quando riceviamo il Corpo e il Sangue del Signore, quando facciamo la comunione: ci nutriamo di lui, siamo una cosa sola con lui, diventiamo come lui. Che cosa mirabile! Il servo povero e umile si nutre del suo Signore. Una meraviglia che non dovrebbe mai finire di stupirci.

6. E non solo di stupirci, ma anche di responsabilizzarci. L’Eucaristia dà un originale impulso al nostro cammino nella storia: non solo non indebolisce, ma stimola il nostro senso di responsabilità verso la terra presente e i tanti problemi che ne oscurano l’orizzonte, come quelli della guerra, dei terrorismi, delle ingiustizie, delle molte contraddizioni di un modo globalizzato, dove i più deboli, i più piccoli e i più poveri sembrano aver ben poco da sperare.
L’Eucaristia è la scuola dell’amore, della condivisione, del servizio, della solidarietà, della donazione umile e discreta.
È quanto Gesù ha voluto insegnarci con l’esempio della lavanda dei piedi, il cui racconto nel Vangelo di Giovanni, or ora proclamato, sostituisce quello della istituzione della Eucaristia, ma ne illustra il significato più profondo.
Non solo prelude alla umiliazione alla quale Gesù si sottoporrà il giorno dopo con la morte sul patibolo della croce, ma offre agli apostoli e a noi la lezione di come si attua il comandamento nuovo dell’amore vicendevole, da lui lasciato come l’unica tessera di riconoscimento del cristiano: ‘Se io, Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato, infatti, l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi’. E’ il suo testamento d’amore. Come la sua anche la nostra vita deve essere una vita di servizio, di dono reciproco, di amore senza limiti.
Ripetendo tra poco questo rito, intendo rinnovare il mio personale impegno pastorale di essere sempre a servizio di tutta la Chiesa palermitana, ma anche l’impegno della Chiesa palermitana ad essere segno di unità, di concordia, di pace, di solidarietà, di servizio a tutti, ma in modo particolare agli ultimi, ai poveri, agli emarginati con i quali Gesù ha voluto identificarsi.
L’augurio, in questo inizio del Triduo Pasquale dell’Anno Eucaristico, ci è stato offerto dalla Liturgia nella preghiera colletta: dalla partecipazione al grande mistero eucaristico, convito nuziale dell’amore di Cristo, attingiamo pienezza di carità e di vita per essere segno di speranza in un mondo rinnovato sul fondamento dell’autentica civiltà, quella dell’amore.
Lo affidiamo a Maria, donna tutta eucaristica, primo tabernacolo del suo Figlio, inarrivabile modello di amore a cui deve ispirarsi il nostro amore per l’Eucaristia.