S. Messa degli Universitari in preparazione alla S. Pasqua

Palermo, Chiesa di S. Caterina
14-03-2012
    1. È motivo di gioia questo incontro dell’Arcivescovo con tutta la Comunità accademica della nostra Università, la quale, come disse il Beato Giovanni Paolo II nella sua prima visita pastorale a Palermo, nel 1982, è ‘espressione di quella Sicilia in cui le civiltà più diverse si sono incontrate, fuse, e infine espresse in nuove forme creative’.

    Sono davvero riconoscente alla Cappellania Universitaria, in particolare a P. Alberto Avi LC, e a tutte le componenti ‘ so che sono tante! ‘ che con lui hanno collaborato, per la comune volontà di rinvigorire sempre più e sempre meglio la tradizione dell’incontro, in momenti forti, fra la Chiesa e la cultura, fra la Chiesa e il mondo del sapere, fra la Chiesa e l’Università, un incontro che può aiutare validamente a realizzare una comunità umana aperta ai perenni valori dello spirito.

    2. La Parola di Dio che abbiamo ascoltato in questo mercoledì della III setimana di Quaresima, ci offre alcuni spunti per meglio prepararci alle feste pasquali ormai prossime, e ci fa sperimentare quanto pregato nell’orazione colletta, e cioè che nel comune ascolto di Dio che parla, e nella comune preghiera al Padre, possiamo riconoscerci tutti fratelli, come una sola famiglia.

    Ascoltare Dio che parla è il primo atteggiamento sul quale vorrei riflettere con voi e per voi. Abbiamo visto nella prima lettura che Mosé raccomanda al popolo di Israele una perseveranza in questo atteggiamento di ascolto: ‘Mosè parlò al popolo e disse: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi»’ (Dt 4,1). Dio dà ad Israele norme e leggi per stabilire con il suo popolo una relazione intima, profonda, forte. Per una promessa di vita, di vita piena. Lo stesso ingresso nel possesso della terra è legato proprio a questa pienezza di vita: ‘perché viviate ed entriate in possesso della terra‘.

    Israele è chiamato ad ascoltare. È il primo dei comandamenti, ovvero delle parole che Dio rivolge al suo popolo per donargli la via della vita: ‘Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore‘ (Dt 6,4).

    La promessa di Dio che parla di vita si scontra ogni giorno con la nostra difficoltà ad ascoltare! Ascoltare è fare silenzio del cuore, far tacere le proposte semplicistiche e lusinghiere del mondo. È fare quel deserto quaresimale che ci è stato proposto all’inizio dell’itinerario di questi Quaranta giorni che la Chiesa celebra, un deserto che faciliti l’incontro con il Signore.

    Come fare deserto? Come rendersi disponibili all’ascolto? Come porsi nell’atteggiamento di ricevere? Ognuno di noi sa cosa deve far tacere nelle sue giornate, nella sua vita. E non si tratta soltanto del chiasso delle parole, ma della confusione nelle giornate, dell’esasperazione nell’attivismo, della perdita di qualità del tempo che viviamo. Una sorta di lasciarsi vivere che nulla ha a che vedere con il vivere in pienezza che il Signore promette.

    Dell’ascolto ha parlato proprio il Santo Padre Benedetto XVI nel corso dell’Udienza Generale del 7 marzo scorso, affermando che la sfida del silenzio per ascoltare Dio che parla ‘è un punto particolarmente difficile per noi nel nostro tempo. Infatti ‘ continua il Santo Padre ‘ la nostra è un’epoca in cui non si favorisce il raccoglimento; anzi a volte si ha l’impressione che ci sia paura a staccarsi, anche per un istante, dal fiume di parole e di immagini che segnano e riempiono le giornate’.

    L’ascolto del Signore che parla è ad un tempo termometro e motivo del nostro rapporto di amicizia con lui, ‘perché l’amore per Lui ‘ sono sempre parole del santo Padre ‘ si radichi nella nostra mente e nel nostro cuore, e animi la nostra vita‘.

    Questo ascolto di Dio deve svilupparsi anche all’interno della vostra realtà universitaria, quella realtà nella quale siete chiamati a vivere ogni giorno.

    La presenza di luoghi e tempi di ascolto, come l’Oratorio di San Giuseppe dei Falegnami a Giurisprudenza o i locali all’edificio 14 in Viale delle Scienze, come pure le iniziative che sia la Cappellania che i vari gruppi impegnati nella Pastorale Universitara promuovono, affinano ‘ per così dire ‘ la vostra ricettività alla proposta di Dio.

    Una proposta che non intende mortificare la ricerca culturale che caratterizza il vostro tempo di formazione universitaria piuttosto intende aprirla all’orizzonte di una pienezza di senso che soltanto il Vangelo di Cristo può darvi.

    Infatti, la preoccupante decadenza delle priorità nei valori che fondano la pacifica convivenza umana, anche nel nostro territorio sollecita un’affermazione sempre più convinta e concreta della funzione pedagogica dell’Università come luogo privilegiato di una formazione integrale delle nuove generazioni, che non possono essere private di una visione trascendente del significato della vita, oggi così appannato e confuso, tanto spesso smarrito.

    L’Università, quindi, non può limitarsi a impartire delle nozioni secondo i giusti principi e metodi di ogni disciplina e con la dovuta libertà di ricerca scientifica. Essa ha il compito di educare uomini e donne che sappiano ascoltare anche la realtà, prestando la giusta attenzione alle sue problematiche e alle sfide che essa pone, con la volontà di comprenderla e riprenderla, per essere protagonisti del proprio futuro.

    Per questo motivo vi raccomando: la vostra fede non cammini mai su un binario parallelo alla vita ma sia capace di mostrare tutta la sua forza dirompente, secondo l’espressione usata da Papa Benedetto XVI nella sua visita a Palermo il 3 ottobre 2010, alla Santa Messa celebrata al Foro Italico.

    3. Figli e figli miei carissimi, c’è un secondo aspetto che la Parola di oggi ci può suggerire e su cui desidero offrirvi il mio contributo, ed è la necessità di far memoria.

    Per andare avanti nel proprio cammino bisogna certo tenere presente la meta, ma bisogna anche far tesoro del percorso già compiuto. Ed è quanto ancora la prima lettura ci suggerisce, quando Mosè dà questa raccomandazione al popolo: ‘Bada a te e guàrdati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli‘ (Dt 4,9).

    Nella cultura si fa tesoro del passato, perché la cultura è quel bagaglio fondamentale di conoscenze e di pratiche acquisite che vengono tramandate nelle generazioni, di generazione in generazione. Così nella fede si rende indispensabile fare esercizio di memoria.

    Ricordare è ‘ri-cor-dare’, ossia ‘ridare al cuore’, porre nuovamente nel cuore quanto si è sperimentato. Nella fede questo non è soltanto un esercizio intellettuale, piuttosto un’esperienza sapienziale, perché è la sfida di rileggere l’azione di Dio nella nostra vita.

    La crescita della nostra statura umana e spirituale è dovuta ad una tesaurizzazione e ad un investimento del passato che mai va buttato via! E noi siamo troppo spesso facili a dimenticare! Non siamo attenti alla nostra storia, corriamo sulle nostre esperienze e le consumiamo in fretta, bruciando tappe e non rispettando tempi. Tutto questo non gioca a nostro vantaggio perché ci fa lenti a riconoscere il passaggio di Dio nella nostra vita.

    Cosa significa ‘Pasqua’? Sapete che, alla lettera, significa primariamente ‘passaggio’. Prepararsi alla ‘Pasqua’ significa anzitutto ‘ri-cor-dare’, ossia far memoria di tutti quei ‘passaggi’ Dio ha compiuto nella nostra vita, anche quelli che sono sembrati i più impensabili o i meno avvertiti. È far memoria delle ‘pasque’ di Dio nella tua esistenza, dei ‘passaggi’ d’amore nelle tue giornate, attraverso i tuoi sentimenti, le tue luci, le tue incertezze, i fratelli posti vicino. Tutto è Pasqua!

    Anche nell’Università c’è una ‘Pasqua’ da riconoscere, da ‘ri-cor-dare’, da vivere per guardare avanti ad altre ‘pasque’, ad altri passaggi benedetti di Dio.

    Una generazione di credenti della memoria corta è destinata alla cecità sul presente e alla mortificazione del futuro. Non ricordare è uccidere la speranza! Per questo, cari amici, nella fede che professate senza timore, sognate futuro, sia a livello pesonale che a livello sociale! Ma fatelo esercitandovi bene nella memoria, facendo tesoro del passato che Dio ha voluto scrivere con gli uomini, nella storia, nella vostra e in quella dei fratelli!

    4. Infine desidero soffermarmi sul Vangelo di oggi, che apre un lungo discorso di Gesù sul compimento della legge nel precetto dell’amore, quel discorso che ricordiamo per le famose antitesi: ‘Avete inteso che fu detto ‘ ma io vi dico‘.

    L’intenzione di Gesù non è certo quella di abolire la Legge antica che aveva formato il popolo di Israele: non c’è nessun tentativo di ‘far piazza pulita’ del passato di questo popolo, del suo popolo. Ma c’è una necessità, e cioè dare compimento alla Legge.

    Cosa significa? Non significa farla giungere al termine, piuttosto, letteralmente ‘riempirla’ di un contenuto che è l’amore.

    Il rischio che Gesù configura nel brano evangelico di oggi è quello di giocare ‘al ribasso’, di vivere ‘al minimo’: ‘Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli‘ (Mt 5,19).

    Qual è, dunque, l’antidoto al ‘veleno’ di una ‘vita al ribasso’? Cosa può salvarci dalle facili scelte di ciò che è più comodo, di ciò che è più gratificante, che ci porta a scegliere il massimo rendimento al minimo costo? Cosa ci garantisce la sconfitta della superficialità con la quale viviamo la nostra fede?
Solo l’amore’

    ‘Pieno compimento della Legge è l’amore‘ (Rm 8,10) scrive san Paolo ai Romani, e ai Galati espliciterà: ‘Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso‘ (Gal 5,13-14).

    Proprio questo contenuto riempie di senso la vita e perfino la Legge di Dio, che fa da binario certo dell’esistenza! Nell’amore nulla è piccolo o irrilevante, trascurabile o secondario! Anzi, quando l’amore fonda, compie, riempie di senso, sono proprio le cose piccole che acquistano valore più grande.

    Anche il vostro vivere l’Università può scadere nella superficialità delle relazioni. Il Vangelo di Gesù ci sprona a passi adulti proprio nelle relazioni, a comprensione reciproca, a stima vicendevole, a tratti di disponibilità e generosità che non si consumano: si vivono!

    La grandezza nel regno dei cieli è proprio la serietà nell’assumere le parole di Gesù, non soltanto come rivolte a noi in quanto singoli, ma anche come rivolte nell’ambiente universitario che siamo chiamati a fecondare con la nostra testimonianza.

    5. Ecco, carissimi, le mie riflessioni che partono da quanto il Signore ha voluto consegnarci oggi nella liturgia. Sono rivolte soprattutto ai giovani, ma toccano anche la responsabilità del corpo docente, dei responsabili amministrativio e di quanti ‘ a diverso titolo ‘ custodiscono e accompagnano il cammino universitario.
    Tutti, nell’avvicinarsi della Santa Pasqua, desidero per questo affidare alla Vergine Santissima, Madre della Sapienza, e perciò Madre di quanti si accostano alle fonti del sapere per attingere in pienezza la verità che fa liberi e che fa grandi gli uomini e le donne di oggi e di domani.