VI Centenario della Madonna della Visitazione ad Enna – Giubileo dei Laici

Duomo di Enna
25-03-2012
Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33

    1. Non posso che esprimere, innanzitutto, la mia gioia di trovarmi qui in mezzo a voi, circondato da questa affettuosa cordialità con la quale mi avete accolto questa mattina, prima nel Palazzo Comunale e successivamente in piazza san Francesco e in questa Cattedrale.
    Il Giubileo nel 600° anniversario della proclamazione di Maria SS. della Visitazione a patrona della città di Enna è un occasione preziosa, non soltanto per fare memoria grata a Dio dei passi di fede compiuti da questa Città sotto lo sguardo premuroso della Madre, ma anche per riscoprire e riattualizzare un tesoro prezioso a cui attingere per porre, ogni giorno, nel presente benedetto da Maria, le basi per un futuro ecclesiale e sociale sempre più creativo e solido.
    Ringrazio per questo il vostro Vescovo, Mons. Michele Pennisi, per le parole piene di affettuosità e di senso ecclesiale che mi sono state rivolte, ma anche perché conosco bene il suo impegno nel portare avanti generosamente gli intenti che hanno animato questo Giubileo. Sono altresì grato a tutto il Comitato Scientifico dei festeggiamenti, e in particolare al suo Presidente il Dott. Salvatore Martinez, che saluto con affetto, in nome di una lunga amicizia e di tanti progetti comuni portati avanti insieme.
    Mi è gradito anche porgere un cordiale saluto a tutte le gentili e distinte Autorità, la cui presenza certamente arricchisce la nostra celebrazione nel vincolo della comune collaborazione in un servizio sempre più leale ed efficace per il bene dell’uomo e per l’avvenire della società.
    Tutti abbraccio in questa variegata assemblea, ma, soprattutto, permettetemi di ricordare quanti, per vari motivi, soffrono il disagio della solitudine, della vecchiaia e della malattia, e non possono essere fisicamente presenti qui con noi: la nostra preghiera giunga loro come balsamo, nella certezza che la comunione dei santi colma le distanze e corrobora le forze nel viaggio della vita.

    2. Nell’ambito di festeggiamenti che interessano la città di Enna, oggi celebriamo il Giubileo dei Laici e nel brano evangelico di questa V Domenica di Quaresima, ascoltiamo la domanda di quel gruppo di Greci saliti a Gerusalemme per il culto. Essi chiedono all’apostolo Filippo: ‘Vogliamo vedere Gesù‘ (cf. Gv 12,11).
    Il messaggio che desidero offrire a tutte le componenti laicali può partire proprio da questa domanda che sembra semplicistica, ma che in realtà ascoltiamo anche dagli uomini e dalle donne del nostro tempo, uomini e donne laici che chiedono ad altri laici come voi: ‘Dio dov’è? Aiutami a vederlo, aiutami a vedere Dio‘.
    C’è un desiderio profondo, spesso così inconscio da non essere capaci di esplicitarlo, un desiderio di ‘vedere’ il Signore che non è propriamente sano. È spesso confuso con la necessità di un suo intervento immediato, come a dire: se Dio esiste, perché non si mostra intervenendo a risolvere i nostri problemi? Uomini e donne del nostro tempo lamentano l’assenza di Dio dalla loro vita solo perché Egli non si renderebbe visibile concretamente ai loro occhi, nei loro drammi, nelle loro ferite e nelle loro povertà.
    Non sappiamo se la domanda di quei Greci saliti a Gerusalemme avesse queste motivazioni recondite, o fosse causata più che altro da curiosità. Certamente sappiamo che Andrea e Filippo manifestano a Gesù il desiderio e l’attesa di quei Greci di ‘vederlo’, ma Gesù non li accontenta, anzi inizia uno strano discorso che quasi nulla sembra avere a che fare con la richiesta di quegli uomini.
    Cosa succede? Perché Gesù non accontenta quei Greci?

    3. C’è un altro modo di desiderare di vedere Gesù. Perché c’è un altro modo di vedere, non con gli occhi fisici, ma con gli occhi della fede, con l’intelligenza viva dello Spirito, quella intelligenza che pone nel cuore non tanto un’inquietudine sensibile (la verifica dell’esistenza di Dio), quanto una ricerca esistenziale (l’incontro con Dio).
    Un’intelligenza che è intus-legere, ossia entrare dentro la realtà e scorgere in essa i segni della presenza di Dio, il volto di Dio nei fratelli, la sua misericordia nella possibilità che l’uomo non si fermi ai suoi errori, e al suo peccato. Per questo Sant’Agostino scrive: ‘La nostra vita è una ginnastica del desiderio‘. (Trattati sulla Prima lettera di Giovanni 4, 6). ‘Vogliamo vedere Gesù’ è un desiderio di vedere Dio che va purificato, allenato, educato, rafforzato, svincolato dalla materialità.
    Ora, l’espressione ‘Vogliamo vedere Gesù‘ è proprio una domanda che apre al cosiddetto libro dell’ora, ossia agli eventi della passione, morte e risurrezione di Gesù (Capp, 13-20). Per questo, la risposta che dà Gesù è solo apparentemente sconnessa rispetto alla domanda. Serve, in realtà, a correggere il tiro della domanda stessa, ad educareil desiderio di ‘vedere il Signore’. Gesù cerca di presentarsi in modo autentico, anticipando quell’unico modo nel quale si farà ‘vedere’ appunto: ‘In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto‘ (Gv 12,24). E’ questo il gesto dei nostri padri. Quante volte sono usciti a seminare nei campi e prima di gettarli nella terra, hanno guardato quei chicchi, quelle sementi, con molta confidenza, con molta attesa pensando che quel chicco andava sotto terra e poi hanno visto il germoglio, ne hanno curato la crescita, ne hanno atteso i frutti.
    Gesù risponde ai Greci e risponde anche a tutti noi: Dio si è fatto chicco di grano che, per portare frutto, deve morire. Nella pienezza dei tempi Dio ha tanto amato il mondo da dare Suo Figlio. Ecco, questo chicco di grano, come lui stesso si è definito, è stato inserito nella terra, ha assunto la nostra natura umana in tutto eccetto nel peccato. E’ Lui che, fattosi chicco di grano per portare frutto, invita con coraggio gli Apostoli: ‘andiamo a Gerusalemme, si avvicina la mia ora’. E se l’assenza di morte porta alla solitudine (‘il chicco che non muore rimane solo‘) vuol dire che ‘ al contrario ‘ la morte di questo prezioso chicco porta un frutto: il frutto di una fraternità di uomini e donne, di una compagnia di fratelli che sperimentano nuove relazioni e gustano gli effetti di questo misterioso impasto tra morte e vita in cui la morte non ha l’ultima parola, e solo la vita ha quella definitiva: ‘Mors et vita duello conflixere mirando: Dux vitae martuus regnat vivus‘.
    La morte è, infatti, innalzamento sulla Croce, e costituisce una nuova famiglia: ‘E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me‘ (Gv 12,32). Quella nuova umanità profetizzata da Geremia, un’umanità che non nasce per aggregazione spontanea di uomini, piuttosto per iniziativa di Dio che la raduna: ‘Ecco, verranno giorni ‘ oracolo del Signore ‘ , nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova‘ (Ger 31,31).
    Questa alleanza nuova non è semplice appartenenza anagrafica e associativa, piuttosto è una vera e propria circoncisione del cuore, un’appartenenza inscritta interiormente nel cuore di chi è coinvolto: ‘Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il suo popolo‘ (cf. Ger 31,33).

    4. Viviamo, carissimi fratelli e sorelle, tempi incerti, per la società e per la Chiesa. Tempi in cui non possono salvarci appartenenze esteriori che non siano profondamente animate da interiore rinnovamento e da un’adesione sempre più visibile al Vangelo, all’annuncio della buona novella e al Magistero della Chiesa.
    Viviamo tempi in cui, più che mai, uomini e donne vogliono ‘vedere’ il Signore nella testimonianza coerente e coraggiosa dei suoi fratelli, nella coerenza di vita del chicco di grano che porta frutto in un amore che costa sacrificio, capace di attraversare la morte dell’egoismo e di farsi autentica solidarietà.
E siete voi laici a giocare la partita decisiva di questo tempo. Il vostro ruolo, potentemente riscoperto dal Magistero del Concilio Vaticano II e dall’insegnamento degli ultimi Pontefici, può essere, a mio parere, duplice.
    Da un lato è quello di ‘educare‘ il desiderio di vedere il Signore, di far fare a questo desiderio una vera e propria ginnastica, come direbbe Sant’Agostino, di fare ogni giorno sempre più esperienza gioiosa di Lui e del suo amore, ossia la vostra personale ricerca e il significativo incontro con la sua Pasqua, con la sua Persona, anche attraverso un più deciso impegno nella formazione.
    Dall’altro siete inviati a mostrare Gesù, a farlo ‘vedere’ concretamente nelle vostre scelte, nei vostri ambienti, nelle realtà temporali che siete chiamati ad animare. Gesù ha bisogno prima di tutto della testimonianza e dalla qualità e dalla intensità della nostra testimonianza, dipende spesso la credibilità dell’annunzio e la chiamata di altri a seguirlo.
    Chi ha incontrato il Signore, non può non gridare la storia della sua salvezza.
    Maria di Magdala, in quella mattina del ‘giorno dopo il sabato’, ha incontrato Cristo risorto, lo ha riconosciuto nella parola, ha ricevuto l’appello di non cercare tra i morti colui che vive ed è corsa a portare l’annunzio ai fratelli. Paolo, che in un modo drammatico è stato fermato sulla via di Damasco, non può non gridare e non impegnare tutta la sua vita nell’annunciare Cristo, Cristo risorto, Cristo redentore della propria vita.
    Fratelli e sorelle, chi incontra il Signore non può non aprirsi all’evangelizzazione, alla testimonianza. Se ci si immerge nel mistero di Dio, allora ci si riempie di amore, e l’amore per eccellenza non è un amore egoista, egocentrico, ma è l’amore del Padre: Dio è amore che ama l’umanità. È amore del Figlio: Dio è amore che si dona e si offre per la nostra redenzione. È l’amore dello Spirito Santo, il dono che Gesù ha promesso alla sua Chiesa: ‘Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto‘ (Gv 15,26). Ecco questo dono d’amore che viene ad insegnarci Dio, a condurre i nostri cammini, a trovare quei sentieri che il Signore ha tracciato per noi, ma che, poiché sempre affidati alla nostra libertà, possono essere tralasciati e traditi.
    Una filosofa e mistica francese del secolo scorso, Simone Weil, afferma: ‘Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio‘. (Q IV 182-183).
    Recentemente, nell’ultimo Concistoro, il Cardinale chiamato a fare una relazione sulla nuova evangelizzazione ‘ e raccomanderei a tutti di leggerla, è riportata dall’Osservatore Romano, la possiamo trovare su internet ‘ ha voluto ricordare la testimonianza di una persona che ha chiesto di iniziare un cammino di catecumenato per essere battezzata. Aveva incontrato Madre Teresa ed era stata colpita dal suo sorriso, dalla sua gioia e si era chiesta: ‘dove trova questa fonte di serenità e di gioia?’. In seguito ha consegnato la sua vita a Gesù e ha chiesto: ‘voglio conoscere questo Dio, fatemi appartenere a questo Dio, perché anch’io sento il bisogno di vivere nella gioia e con il mio sorriso, aprire il cammino della fraternità’.
    Fratelli e sorelle, la forza del nostro annunzio dipende dalla coerenza della nostra vita. Siatene sicuri: il mondo, malgrado tutte le proclamazioni a volte ingigantite dai mezzi di comunicazione sociale, in fondo al proprio cuore vuole ancora ‘vedere’ Dio, e si rivolge ancora, come quei Greci fecero con Filippo e Andrea, a coloro che sembrano stargli più vicino, che mostrano di essergli amici.
    Nella luminosa giornata del 3 ottobre 2010, a tutte le componenti laicali della nostra Sicilia, il Santo Padre Benedetto XVI ha confermato proprio questo mandato, che qui solennemente voglio ricordare e ribadire, facendomi eco della voce del Successore di Pietro e Pastore della Chiesa universale. Il Papa ci ha detto: ‘A voi, fedeli laici, ripeto: non abbiate timore di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana, soprattutto in quelle difficili! La fede vi dona la forza di Dio per essere sempre fiduciosi e coraggiosi, per andare avanti con nuova decisione, per prendere le iniziative necessarie a dare un volto sempre più bello alla vostra terra‘. Ed ha concluso: ‘Chi è saldamente fondato sulla fede, chi ha piena fiducia in Dio e vive nella Chiesa, è capace di portare la forza dirompente del Vangelo‘.
    Rileggete serenamente questi 600 anni di storia della vostra terra, della città di Enna e queste parole le vedrete testimoniate nei vostri padri e vedrete la verità di queste affermazioni e il superamento di queste difficoltà siano esse sociali, siano esse di calamità naturali. Pensate a come questa città è andata avanti ed è cresciuta dopo i disastri della seconda guerra mondiale. Maria ha accompagnato questo nostro camminare, Maria ha sostenuto, Maria ha confortato. Gli uomini sono passati perché la nostra giornata terrena è legata nel tempo, ma questo deposito di grazia che ci permette di essere oggi quello che siamo, è consegnato a noi perché dobbiamo portare ‘ come ci dice il Santo Padre, la ‘forza dirompente’ del Vangelo.
    Questa ‘forza dirompente’ è l’unica che può superare la sfida del ‘vedere Dio’, ed è anche la missione che viene dalla vostra consacrazione battesimale. La vostra fede viene proclamata vivendo la Parola in ogni ambito di vita, portando il Signore ovunque vi troviate, in un contesto di autentica ‘nuova evangelizzazione’ che si esprime in particolare sia all’interno della famiglia dove, da coniugi cristiani, agite per trasformare una società secolarizzata operando dal di dentro della struttura minima della società, sia nell’ambito professionale che è terreno quotidiano di realizzazione personale, di impegno per gli altri, di partecipazione sociale, di testimonianza della propria fede.

    5. A Maria SS. della Visitazione, che portò il Cristo Verbo di Dio in grembo per donarlo all’umanità e compiere la missione dell’amore, a lei affidiamo la vitalità di questa Città, la fedeltà alla testimonianza autentica dei laici nell’attuale contesto storico e culturale, la creatività con la quale vorrete far camminare il Vangelo sui vostri passi quotidiani.
    E a voi Confraternite, che siete nate proprio per favorire la devozione al tesoro spirituale della Chiesa, per tradurre in gesti concreti la sollecitudine di Dio di alleviare, accompagnare e sorreggere, e per aprire nuovi cammini nelle relazioni tra gli uomini: a voi oggi il compito di richiamare la piena coscienza che ‘la gloria di Dio è l’uomo vivente’ (Ireneo di lione).
    A voi il compito di professare con atti devozione e il farvi riconoscere all’interno di una città con la vostra identità di cristiani e devoti di alcuni misteri, di riflettere nel mondo di oggi quella luce che la Chiesa confida alle vostre coscienze, una luce che non può essere nascosta, ma che deve brillare ‘come lampada posta sopra il candelabro‘ (cf. Mt 5,15).
    Le confraternite sono nate a servizio degli uomini, quel servizio che è innanzitutto la trasmissione della fede, ma anche per rispondere ai bisogni reali delle persone. Continuate in questa tradizione! Sappiate aprire gli orizzonti alle nuove povertà, ai nuovi bisogni.
    Accompagnate l’uomo come Gesù che si mette in cammino accanto ai discepoli di Emmaus, e aiutate la gente a leggere i suoi problemi alla luce del Signore e a non rimanere oziosa: ognuno sia spronato ad impegnarsi per dare il proprio prezioso contributo. Non solo perché la gloria di Dio venga proclamata con le labbra, ma venga incarnata e tradotta dal cuore in una premurosa sollecitudine verso i fratelli.
    Così quel deposito di fede, quel patrimonio glorioso e splendente costruito tassello dopo tassello dai nostri Padri, verrà consegnato e trasmesso alle nuove generazioni ancora più rilucente e forte.
    Maria Santissima della Visitazione ci aiuti tutti in questo cammino.