V° Centerario della morte di San Francesco di Paola

Cattedrale di Palermo
06-05-2007

Carissimi fratelli,

    siamo riuniti in questa Cattedrale per celebrare l’Eucaristia in questa V domenica di Pasqua e per fare memoria dei 500 anni dalla morte di S. Francesco di Paola. Come è scritto nel Messaggio dei Vescovi alle Chiese di Sicilia in occasione di questo V centenario, la solenne ricorrenza ci spinge a sollecitare le nostre Chiese a riflettere sulla vocazione cristiana, sulla autentica adesione a Cristo e sulla coerenza al messaggio evangelico di cui Francesco si fa portavoce da oltre cinque secoli.
    Le letture che abbiamo ascoltato ci aiutano ad accogliere bene queste piste di riflessione, che potremo far nostre con maggiore facilità quanto più facciamo nostro il testamento che Gesù affidò ai suoi, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, mentre stava per andare verso la morte: ‘Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri'(Gv 13,33). La tessera di riconoscimento dei credenti in Cristo è l’amore fraterno, che fa sì che il seguace di Cristo sia riconosciuto come tale e soprattutto che il mondo si apra alla fede proprio attraverso la sua testimonianza. Questa, vissuta in pienezza da tanti uomini e donne della Chiesa, ha formato numerosi santi. E il nostro S. Francesco di Paola è uno di questi.
    La santità non è un dato che si acquisisce una volta per sempre, ma una tensione che deve impegnare l’uomo per tutta la vita, obbligandolo alcune volte a percorrere sentieri difficili e oscuri. Per tutti i santi è stato così. Essi sono diventati tali perché sono stati costanti nel loro impegno di fede, anche nel momento della prova oscura del dolore e delle contrarietà.
    Ed attraverso questa fatica S. Francesco di Paola è cresciuto nella santità. È vissuto 91 anni all’insegna della fede rigeneratrice nella risurrezione del Signore e della speranza del conseguimento dei beni eterni, che Cristo ci ha acquistati col suo sacrificio redentore. Per ottenere questi beni e per essere segno del Risorto fra la gente, egli ha seguito un itinerario penitenziale, che lo ha reso un uomo libero e perciò capace di liberare anche gli altri. È bello leggere nelle testimonianze della sua vita questa nota, che certamente aveva suscitato nell’animo della gente tanta gioia e ammirazione: Quanti si recavano da lui per incontrarlo e parlare con lui, tornavano a casa contenti. Era l’effetto di una Pasqua vissuta e testimoniata proprio con la pace interiore.
    91 anni: segno di perseveranza, di lotta, di fortezza. Egli muore esaltando la sapienza della Croce, che il mistero di risurrezione ha illuminato e reso accettabile. Le ultime sue parole sul letto di morte furono quelle di Paolo: La sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Quante prove e quante difficoltà hanno segnato la vita di S. Francesco! E tutte superate con una fede forte. Tutte accettate con una speranza incrollabile. Tenere il cuore alto, usava ripetere sovente. Ed a questa perseveranza ha esortato i suoi frati con le parole di Gesù: Chi mette mano all’aratro e poi si volta indietro non è adatto per il regno dei cieli.
    Il segno pasquale di questa domenica è il comandamento nuovo dell’amore. E quanto più i credenti crescono nell’amore, tanto più efficace diventa la loro azione rinnovatrice nel mondo.
    Questa carità, questo amore ha incarnato S. Francesco quando era in vita. Oggi godiamo dei frutti di una carità vissuta realmente, e che continua a far sperimentare anche dopo morte ogni volta che un credente guarda a lui come a un modello di vita e lo invoca come protettore presso Dio. Anche noi questa sera siamo qui davanti alla sua immagine che, tutt’uno con quella del Risorto, ci fa cogliere la forza di santità di S. Francesco per trasformarci in creature rinnovate dalla Pasqua del Signore. E la santità di S. Francesco ha una tonalità tutta pasquale, perché egli è stato in vita il profeta della penitenza: con la testimonianza della vita, segnata da una forte ascesi, e con la predicazione, tutta incentrata sul richiamo alla conversione.
    Perché l’ascesi, le pratiche penitenziali? Nell’impegno di santità, per difendere la novità di vita trasmessa a noi dai sacramenti, dobbiamo lottare. Sappiamo che c’è in noi una tendenza al male che può utilizzare disordinatamente i beni di questo mondo fino a rimanerne schiacciati. Allora bisogna lottare, e in questa lotta la rinuncia, anche ad un uso legittimo di questi beni (pensate al digiuno o all’elemosina), può servirci a far prevalere il bene sul male, perché noi non rimaniamo dominati e vinti da questi beni. Molto efficaci le parole di S. Francesco: il digiuno purifica la mente, eleva lo spirito, schiaccia i vizi e le concupiscenze.
    Quando predicava, S. Francesco annunciava quanto viveva: Convertitevi, perché Dio vi aspetta a braccia aperte; va’, pulisci la tua casa, cioè la coscienza, e sii un buon cristiano. Egli è stato un vero maestro di vita spirituale. Lo è stato per la sua famiglia spirituale, l’Ordine dei Minimi, da lui fondato nella sua triplice espressione: i frati, le monache, i terziari. Quanta sapienza nelle Regole che egli ha scritto per loro, tutte basate in quella proposta di vita quaresimale, che è un itinerario di conversione che conduce all’abbraccio pasquale con il Risorto. Nella Chiesa, S. Francesco di Paola rimane il grande maestro della penitenza quaresimale, che prepara l’uomo ad essere la creatura nuova della Pasqua di Cristo. Noi, oggi, perciò, siamo davanti a lui, riconoscendolo come maestro di vita spirituale e desiderosi di imparare a vivere i valori che rendono pasquale una comunità.
    Egli è stato un uomo di comunione e di pace, ha lavorato tantissimo perché alla base della comunione ci fosse il perdono: Perdonatevi scambievolmente fino a dimenticare il torto ricevuto. Sia anche per noi un forte richiamo a vivere il precetto evangelico del perdono, che dimostra come siamo uomini veramente nuovi, rinnovati dal sangue di Cristo.
    Sosteniamo tutto il nostro operare con la preghiera, come faceva lui. Egli ci ha insegnato che la pura e assidua orazione dei giusti è una grande forza, e come un fedele messaggero compie il suo mandato penetrando là dove non può arrivare la carne.
    S. Francesco ha alimentato la sua vita con la parola di Dio: la citava nei suoi discorsi, la spiegava con amore e impegno alle persone che incontrava. Egli voleva così educare i fedeli a pensare e ad agire secondo Dio. E solo lo studio attento della parola di Dio può insegnarci il pensiero di Dio e la sua volontà…