XVII Giornata del Malato
II Anniversario dell’Ingresso in Diocesi dell’Arcivescovo

Cattedrale di Palermo
11-02-2009






    Carissimo fratello Carmelo, fratello nell’Episcopato e mio più diretto collaboratore nel governo di questa Arcidiocesi.
    Carissimi fratelli Presbiteri, carissimi diaconi, carissimi seminaristi.
    Carissime persone consacrate che avete lasciato tutto per seguire Cristo più da vicino, e nel carisma proprio di ciascun istituto, siete chiamati ad essere il volto sollecito della Chiesa a servizio dell’uomo.
    Carissimi ammalati, voi che siete un tesoro prezioso per la Chiesa, accettando la vostra sofferenza ed offrendola al Padre siete quel sacrificio gradito che sale al Signore e impetra il suo amore e il suo sguardo misericordioso.
    Carissimi fedeli, ed in particolare voi impegnati, nello spirito dell’UNITALSI, ad accompagnare i fratelli ammalati a sostenerli e a scoprire rivolto su di loro lo sguardo della Vergine nella grotta di Massabielle, che il Signore ha mandato a noi per essere mediatrice di tutte le grazie, ma anche sostegno nelle nostre giornate.

    1. È con grande commozione che mi ritrovo anche quest’anno qui in Cattedrale, insieme a voi, popolo a me affidato dal Signore e gregge che si sforza di camminare sui sentieri da lui tracciati cercando nella mia povera persona il Pastore secondo il cuore di Dio.
    La commozione è il tratto più visibile di un ricordo che si fa oggi assai presente nel mio cuore: due anni fa la Chiesa di Palermo mi accoglieva in questo tempio. E in quella stessa occasione io stesso cercavo di accogliere nella mia vita ciascuno dei fedeli di questa Diocesi, senza esclusione alcuna, sentendomi pienamente parte di questa porzione di popolo santo semmai sollecito di un amore privilegiato verso chi versa nel più grande bisogno.
    Figli e figlie carissimi! Se siamo riuniti per far memoria di quell’evento è per ringraziare ancora una volta il Signore che non abbandona la sua Chiesa, anzi se ne prende amorevole cura e le fa sentire il suo abbraccio, continuando a guidarla per mezzo dei suoi ministri che attorno a questa Chiesa si stringono e per questa Chiesa si spendono.

    2. Ricordo che due anni or sono, all’indomani del solenne ingresso il Diocesi, ebbi la gioia di ritornare in Cattedrale per condividere la tradizionale celebrazione della Giornata dell’Ammalato, sempre tanto partecipata ed animata dalle dame e dai barellieri dell’UNITALSI. Fu per me una gradita sorpresa.
    E anche quest’anno mi è gradito rivivere questo ingresso nella memoria liturgica della Beata Vergine Maria, che oggi ricordiamo nelle sue apparizioni a Lourdes a ricordo dell’inizio delle apparizioni della Vergine alla piccola Bernadette Soubirous, 151 anni or sono.
    Forse ciascuno di noi vorrebbe come di quel piccolo gruppo di altri Palermitani che oggi sono a Lourdes e che anche a nome di tutti noi rivolgono la loro preghiera accanto alle rive del Gave.
    La liturgia della Parola di oggi, ci fa entrare nella logica del Dio provvidente e amorevole: ci parla della sua generosità, dell’abbondanza dei suoi doni, della grandezza delle sue opere.
    Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, l’oracolo annuncia una grande consolazione per Gerusalemme, una consolazione tenerissima ed amorevole che Dio stesso paragona alla consolazione di una madre nei confronti di un figlio: «come una madre consola il figlio, così io vi consolerò» (Is 66,13). L’azione di Dio è sempre tenera nei confronti dei suoi figli, anche quando il suo abbraccio li raggiunge dopo la giusta correzione, come nel caso del popolo infedele e punito.
    Nella seconda lettura che abbiamo scelto si parla ancora di Gerusalemme, ma della Gerusalemme celeste, principio del popolo redento da Dio. In questa realtà trasfigurata e futura, la città santa del nuovo popolo è «pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2).
    C’è tutta la predilezione di Dio che fa bella la sua sposa, ma c’è soprattutto una promessa concreta: nella realtà futura, nella vita eterna a cui l’uomo tende, ci sarà la continua vicinanza di Dio; anzi, «egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”» (Ap 21,3). E ogni cosa sarà nuova, perché costantemente nuova sarà l’amicizia di Dio per gli uomini.
    Infine, ecco il brano evangelico. Il cantico del Magnificat di Maria, una lode e un’esultanza perché Dio «ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre» (Lc 1, 54-55). Un cantico nel quale la Vergine Maria dice poco di sé ma molto dell’assoluto protagonismo di azione di Dio, della sua libera iniziativa, delle sue scelte e del suo guidare concretamente il cammino di queste creature.
    In fondo l’amore di Dio ci interpella. E ci interpella ad amare a nostra volta, perché la sua libera iniziativa, di riflesso, si trasfonde nella nostra vita: «Noi amiamo – dice Giovanni nella sua lettera – perché egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19).

    3. Carissimi fratelli e sorelle, non posso non riconoscere che questa iniziativa d’amore di Dio, che sempre colma di stupore e meraviglia, è passata, in questi due anni, attraverso il mio ministero. Attraverso le mie fatiche e le mie sofferenze. Come pure attraverso la gioia vissuta in tanti incontri con comunità parrocchiali, con i presbiteri, con i religiosi, con i seminaristi, con i laici, con le varie realtà associative di laici e di persone che cercano Dio e si vogliono impegnare ad annunciarlo nel mondo di oggi.
    Avverto che attraverso di me ‘ e tuttavia non per mio merito ‘ è passato ancora una volta lo sguardo di un Dio misericordioso, l’abbraccio di un Dio che accoglie ogni uomo nella sua famiglia, la grazia di un Dio che sana e salva. E sempre, nell’ardore missionario e nelle mie ansie pastorali, il desiderio profondo di un Dio che «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4)
    Per questo mi sentite continuamente inquieto di portare l’annunzio e di non attendere che le persone vengano a noi. Dio è venuto a noi, ha posto la sua tenda in mezzo al popolo. Noi dobbiamo andare alle persone, dobbiamo portare la Chiesa per strada e nelle case, rendere visibile, concreta la redenzione del Signore per tutti gli uomini.
    Attraverso di me. Non per mio merito. Ma certamente nella dedizione che ho cercato di mettere in ogni cosa, ripetendo a me stesso continuamente, prima ancora che a voi, gregge che segue la voce del pastore: «Guai a me se non evangelizzo!» (1Cor 9,16).

    4. Mi chiedo oggi ed in ogni giorno: cosa sarebbe stato il mio ministero di Padre e Pastore senza la vostra presenza e il vostro sostegno? Come potrei continuare l’opera affidatami da Dio a vostro vantaggio? La vostra è presenza di figli che amano, pur con le debolezze, il Padre che gli dona la vita. È sostegno di un gregge che riconosce e sa bene che il Pastore lo guida ai pascoli più sicuri, e che dunque si fida di lui e si affida al suo cammino.
    Ne ho sempre più consapevolezza: nel mio ministero episcopale qui a Palermo l’abbondanza e la generosità di Dio, è passata e passa ancora attraverso l’implorazione orante e la santità concreta del Corpo Mistico, della nostra Diocesi, di tutti i battezzati ‘ nessuno escluso ‘ che vivono in questo territorio.
    Ho potuto vedere la realtà della parabola della perla preziosa. Quante perle il Signore ha messo, coltiva e sostiene nell’interno della nostra comunità! Queste perle che costituiscono il sostegno posato sulla pietra angolare che permette alla Chiesa di Palermo di crescere contro venti e maree, di guardare con speranza, e spingere alla generosità sempre nuova e sempre crescente.

    5. In particolare, in questa tradizionale memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, mi è caro e doveroso riconoscere che questa generosità di Dio verso il suo popolo, per il mio ministero, deve molto alla preghiera e al sacrificio di tanti uomini e donne che affrontano con coraggio e speranza la loro malattia, e si uniscono così al Cristo sofferente sulla croce. Voi, cari ammalati, siete la parte più piagata del Corpo Mistico, ma, per questo, la più vicina al Cristo stesso, mediatore unico della nuova alleanza.
    Attraverso la vostra esistenza, certo difficile e piena di momenti critici, il Signore può operare quel rinnovamento del mondo prefigurato dall’Apocalisse: «Vidi un nuovo cielo e una nuova terra» (Ap 21,1) ed «ecco io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 5).

    6. Oggi, in tutto il mondo si celebra la XVII Giornata Mondiale del Malato. Il tema proposto quest’anno è quello di Educare alla salute, educare alla vita.
    Proprio voi, carissimi fratelli e sorelle ammalati, avete l’arduo compito di testimoniare, con la vostra esistenza, che la salute non dipende esclusivamente dalle proprie condizioni biologiche o fisiche. Salute e vita sono prospettive più ampie che, in una corretta visione dell’uomo che si sposa con la fede, divengono salvezza, pienezza che solo in Cristo si può ritrovare: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiamo in abbondanza» (Gv 10,10). E questa vita e questa abbondanza è radicata nel sacrificio della croce, offerta al Padre e offerta come testimonianza e prova del suo amore per ciascuno di noi.
    A voi, carissimi ammalati, insieme a quanti vi assistono e di voi si prendono cura con amorevole sacrificio, è affidato il compito di mostrare a questo nostro tempo, così ricco di contraddizioni, che la vita è valore intangibile perché condizione essenziale per giungere alla vita vera, alla ‘novità di tutte le cose’. Solo lo sguardo di fede e il cuore amante possono farci andare oltre le condizioni biologiche dell’esistenza, e possono dare, sull’esempio di Cristo, ragioni per fare della propria vita un dono, e del proprio desiderio di salute una piena volontà di salvezza.
    In particolare, nel suo recente discorso in prossimità di questa giornata, domenica scorsa, il Santo Padre ha voluto ricordare coloro che, fra gli ammalati, sono i più deboli e i più bisognosi: i bambini, che trovano nei genitori accanto a sé esempi di dedizione coraggiosa e fedele.
    Nel mio ministero ho potuto vedere tante volte delle coppie, delle famiglie, che nel silenzio hanno diretto la loro totale dedizione, sconvolgendo l’ordinarietà della vita, così come era da loro programmata, per accompagnare ‘ non per assistere ‘ ma per condividere pienamente la vita di un figlio sofferente, di un familiare in difficoltà.
    Il Santo Padre, domenica scorsa nel suo indirizzo dalla finestra sulla piazza San Pietro, ci diceva: «La dedizione quotidiana e l’impegno senza sosta al servizio dei bambini malati costituiscono un’eloquente testimonianza di amore per la vita umana, in particolare per la vita di chi è debole e in tutto e per tutto dipendente dagli altri. Occorre affermare infatti con vigore l’assoluta e suprema dignità di ogni vita umana. Non muta, con il trascorrere dei tempi, l’insegnamento che la Chiesa incessantemente proclama: la vita umana è bella e va vissuta in pienezza anche quando è debole ed avvolta dal mistero della sofferenza. E’ a Gesù crocifisso che dobbiamo volgere il nostro sguardo: morendo in croce Egli ha voluto condividere il dolore di tutta l’umanità. Nel suo soffrire per amore intravediamo una suprema compartecipazione alle pene dei piccoli malati e dei loro genitori». Questa la parola di Benedetto XVI.

    7. Carissimi fratelli e sorelle, figli miei ammalati, specie piccoli e anziani. Abbiamo bisogno di voi! La Chiesa di Palermo ha bisogno della vostra testimonianza! La nostra società e questa città hanno bisogno del vostro dono e attraverso di voi, della testimonianza di fede di quanti vi accompagnano e dedicano le loro cure e le loro attenzioni non soltanto in questi momenti comunitari, ma proprio nel nascondimento di tante famiglie, di tante case, di tanti luoghi, dove nella quotidianità della sofferenza si impreziosisce il vostro dono. Il vostro Vescovo ha bisogno della vostra preghiera e della vostra offerta paziente. Quante volte nei momenti di maggiore preoccupazione comeho appreso dalla viva bocca del compianto Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, il quale non soltanto aveva affermato nei momenti di grande sofferenza, sul letto dell’ospedale Gemelli: ho scoperto il valore petrino dell’offerta della sofferenza per il bene della chiesa e dell’esercizio del mio ministero. Ma l’ho scoperto tante volte quanto in momenti difficili, di decisioni sofferte, nella ricerca di capire che cosa bisognava fare, che cosa bisognava dire, o meglio ancora che cosa Dio voleva che dicesse alla Chiesa o quali cammini indicare alla Chiesa, quando non aveva con chiarezza percepito questo, diceva a noi collaboratori più vicini: c’è tanta gente che prega per noi, c’è tanta gente che offre i suoi sacrifici per la chiesa, la sua sofferenza; il Signore ci farà capire più chiaramente per dove andare. Riprenderemo questo discorso quando la sofferenza e la preghiera, salendo a Dio, scende come una benedizione di grazia sulla Chiesa.
    La nostra Arcidiocesi sta percorrendo cammini di evangelizzazione che hanno bisogno della luce di quanti, nella sofferenza, stanno più vicini al Cristo Redentore, e che testimoniano la speranza della nuova Gerusalemme che Dio prepara, senza lacrime, senza morte, lutto, lamento o affanno.
    Alla piccola Bernadette, la Vergine non promise la felicità sulla terra, ma solo in cielo. E in nessuna delle apparizioni Aquerò parlò mai di guarigione degli ammalati. Piuttosto il messaggio di Lourdes riproponeva con determinazione la ricerca di Dio attraverso un necessario cammino di penitenza e profonda conversione.
    Così vogliamo andare al Signore. Desiderosi di una profonda conversione, coscienti che solo Lui è capace di togliere dall’essere umano il cuore di pietra e dare il cuore di carne, il cuore capace di riposare in Dio che è amore e di amare i fratelli, così come ci ha comandato il Signore. Vogliamo andare al Signore desiderosi di sperimentare anche noi l’immensa grandezza delle opere di Dio, il suo amore per ogni uomo, la lode che può ‘ con Maria ‘ essere la nostra: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente!» (Lc 1,49).
    Per questo non ci scoraggiano le difficoltà, per questo non ci scoraggiano le indifferenze, per questo non ci scoraggiano le resistenze perché non sarà il nostro impegno a vincerle, ma sarà il nostro dono a Dio, la nostra certezza di aver compiuto il nostro dovere e il Signore saprà fare nuove tutte le cose. E così sia.